L’America è sull’orlo di un nuovo shutdown, il primo blocco delle attività governative dal 2019, anche quello avvenuto sotto la prima presidenza Trump. La paralisi scatta dalla mezzanotte e farà vedere i suoi caotici effetti da mercoledì. Salvo un accordo in extremis che sembra però improbabile, dopo il fallimento dell’incontro lunedì alla Casa Bianca fra Donald Trump e i leader del Congresso. Nelle ore successive il presidente ha acuito le tensioni postando sui social un video derisorio e per molti anche razzista, apparentemente generato con l’intelligenza artificiale. Nella clip il leader dem alla Camera, Hakeem Jeffries, appare come un messicano con sombrero e baffi mentre il collega di partito Chuck Schumer, leader di minoranza al Senato, parla con una voce contraffatta sostenendo – con musica mariachi in sottofondo – la causa dell’assistenza sanitaria gratuita agli immigrati irregolari per conquistare i voti di una delle minoranze che ormai odiano il suo partito.
Il tycoon ha inoltre minacciato, in caso di shutdown, il licenziamento di “molti” impiegati federali, ordinando a tutte le agenzie del governo piani per licenziamenti di massa dei dipendenti di programmi che non sono legalmente tenuti a proseguire. Da gennaio se ne sono già andati oltre 100 mila, con l’esodo incentivato. Con le posizioni inconciliabili dei partiti, gli Stati Uniti rischiano di entrare in uno dei periodi di blocco più critici della loro storia recente. Sono a rischio di stop o rallentamento le istituzioni sanitarie, i servizi di sicurezza, i trasporti, compresa la sicurezza aerea: oltre 50 gruppi del settore hanno avvertito che uno shutdown ritarderebbe le ispezioni e la manutenzione dei velivoli. Oltre 800.000 dipendenti federali inoltre potrebbero essere messi in congedo non retribuito.
Persino i quasi mille alti ufficiali convocati al Pentagono da Pete Hegseth potrebbero non riuscire a far ritorno subito alle loro basi all’estero. Anche Wall Street, rimasta in rosso, teme il caos. Alcune stime private suggeriscono che uno shutdown di due settimane potrebbe costare 10-20 miliardi di dollari in perdita di pil. Trump e i leader repubblicani, tra cui il vicepresidente JD Vance e il leader della maggioranza al Senato John Thune, spingono per l’approvazione di un provvedimento di finanziamento a breve termine (“clean CR”) che estenda i fondi federali almeno fino al 21 novembre. Questa proposta, tuttavia, è stata bocciata una volta alla Camera e rischia di non superare il Senato, dove è necessaria una maggioranza qualificata di 60 voti. I leader democratici Schumer e Jeffries insistono affinché qualsiasi legge di finanziamento includa estensioni dei sussidi dell’Obamacare e la revoca dei tagli a Medicaid (la sanità per le famiglie a basso reddito) e alla Corporation for Public Broadcasting, l’ente federale che finanzia i media pubblici, come radio e televisioni pubbliche (ad esempio Pbs e Npr).
Entrambi ritengono che la sanità sia una priorità per milioni di americani e che non si possa sacrificarla per motivi politici.
Sia i repubblicani che i democratici sperano di riuscire a scaricare la colpa dell’eventuale shutdown sugli avversari. Ma a pagare saranno comunque i cittadini di un’America sempre più divisa.
Trump, licenziamenti inevitabili con lo shutdown
“Non abbiamo scelta”. Così Donald Trump ha risposto ha una domanda sui licenziamenti di massa in caso di shutdown.
“Nessun Paese può permettersi di pagare l’immigrazione illegale e l’assistenza sanitaria per tutti coloro che entrano nel Paese. Ed è su questo che insistono [i democratici”, ha detto Trump. “Vogliono frontiere aperte. Vogliono che gli uomini giochino negli sport femminili. Non si fermano mai. Non imparano. Abbiamo vinto le elezioni con una valanga di voti. Loro semplicemente non imparano. Quindi non abbiamo scelta. Devo farlo io per il Paese”.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA