Il Riformista ha pubblicato il 25.9 una mia intervista con Andrea B. Nardi intitolata Oltre l’80% dei Gazawi rivendica il 7 ottobre. In realtà sarebbe stato più esatto dire che a Gaza un massimo del 71% (e non l’80%) hanno approvato l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 contro Israele. Ringraziamo un nostro assiduo lettore, Massimo Chierici, per aver segnalato la discrepanza.
I numeri sono importanti per capire le grandi tendenze di fondo in una società. Ma una percentuale solitaria come questa serve ben poco se isolata da un più ampio contesto storico e politico. Tanto più che si è diffusa la voce che i dati di indagini effettuate a Gaza sono stati falsificati da Hamas. Vorrei allora chiarire il significato di questo frammento di informazione e inserirlo in un discorso più vasto. L’istituto di ricerca PSR diretto dal politologo palestinese Khalil Shikaki, con sede a Ramallah, e considerato attendibile negli ambienti accademici israeliani, effettua periodicamente un sondaggio di opinione a Gaza e in Cisgiordania. Dopo il massacro di civili israeliani del 7 ottobre e il conseguente duro intervento militare a Gaza, sono state aggiunte alcune domande dirette a questa nuova fase del lungo conflitto. L’indagine PSR è stata ripetuta nel dicembre 2023, nel marzo, giugno e settembre 2024, e nel maggio 2025.
Nel dicembre 2023, dunque poche settimane dopo l’attacco, a Gaza la percentuale dei favorevoli era del 57%, saliva a un massimo del 71% nel marzo 2024, tornava al 57% nel maggio 2024 (sempre una maggioranza degli intervistati), per poi smorzarsi gradualmente nei mesi successivi, scendendo al 34% nel maggio 2025. È interessante e forse inatteso notare che in Cisgiordania – meno direttamente coinvolta nelle operazioni militari e dove, come vedremo, i dati sono più attendibili – nel dicembre 2023 l’appoggio all’attacco del 7 ottobre era dell’82%, seguito da una diminuzione progressiva fino al 59% nel maggio 2025 (tuttora la maggioranza). Forse il calo nel sostegno all’iniziativa (notiamo bene: non al movimento) di Hamas riflette le percezioni popolari dello spaventoso danno provocato dalla reazione israeliana a tutta la popolazione e non solamente ai militanti armati. Come disse Hassan Nasrallah, il defunto leader di Hezbollah, in occasione della guerra in Libano nel 2006, “se avessi conosciuto in anticipo le conseguenze, avrei agito diversamente”.
Un altro quesito nella stessa indagine riguarda l’identità di chi sarà il vincitore alla fine della guerra. A Gaza, nel dicembre 2023, il 50% prevedevano la vittoria finale di Hamas, contro 31% quella di Israele; con un calo nel maggio 2025 a 23% Hamas, contro 29% Israele. In Cisgiordania, nel dicembre 2023, la previsione era Hamas 83%, Israele 1%; nel maggio 2025 si era passati a 56% a 5%. La spettacolare differenza fra le due parti dei territori palestinesi, e la maggiore militanza in Gisgiordania, è carica di significati che trascendono i numeri.
E ancora: Qual sarebbe il modo migliore per raggiungere gli scopi dei Palestinesi, ossia terminare l’occupazione dei territori e costruire uno stato indipendente?
A Gaza, nel settembre 2022, ossia prima della guerra in corso, la lotta armata otteneva il 50 %, altre forme non violente il 49% dei consensi; nel dicembre 2023, 56% a 43%; nel maggio 2025, 31% a 66%. In Cisgiordania, nel settembre 2022, lotta armata 35%, altre forme non violente 56%; nel dicembre 2023, 68% a 27%; nel maggio 2025, 48% a 44%. Le notevoli fluttuazioni nelle opinioni dei Palestinesi riflettono evidentemente cangianti letture, anche realiste, di fronte agli sviluppi sul terreno. Nuovamente, Gaza sembrerebbe meno militante della Cisgiordania. La guerra a Gaza ha forse reso i Gazawi più consapevoli dei loro limiti e della loro tragedia, ma non ha impedito una radicalizzazione delle posizioni intorno a Ramallah.
Rileggere questi dati in dettaglio è importante per creare un contesto più articolato rispetto al titolo originale del Riformista. Nell’agosto del 2024, si è diffusa, anche sulla stampa israeliana, la notizia che molti sondaggi effettuati a Gaza erano stati falsificati da Hamas. Soprattutto, le percentuali reali di appoggio a Hamas e ai suoi dirigenti principali risulterebbero notevolmente inferiori rispetto a quelle diffuse con il beneplacito dei capi dello stesso Hamas. La critica è stata rivolta anche ai sondaggi dell’Istituto di Shikaki. Le percentuali reali di appoggio all’operazione del 7 ottobre sarebbero state molto inferiori, attorno al 30%. A chi credere dunque? Cui prodest? E come si svolgono questi sondaggi?
Il PSR è un istituto autonomo che raccoglie i dati sul terreno e li elabora centralmente a Ramallah, in collaborazione con la locale rappresentanza dell’Olanda. Nel suo sito, l’istituto di Shikaki pubblica i dati precedenti senza ammettere che alcuna manipolazione sia avvenuta. Sarebbe autodistruttivo per un istituto serio affermare: i nostri dati passati erano tutti falsi. Semmai, in caso di dubbio su manipolazioni, il PSR avrebbe potuto cancellarli dal sito. I dati originali sono invece tutti confermati. Qui il Dr. Shikaki si gioca la reputazione.
Ma poi, qualcuno dovrà pur spiegare le discrepanze fra Gaza e Ramallah. Supponiamo pure che nei sotterranei di Gaza, dove Hamas terrorizza i civili, mani ignote abbiano falsificato le statistiche. Ma non a Ramallah, nella sede centrale del PSR. Eppure tutti i dati della Cisgiordania sono ben più inquietanti (da un punto di vista normativo israeliano) rispetto a quelli di Gaza. E allora come interpetare le decine di punti percentuali nel senso di una maggiore militanza in Cisgiordania dove governa l’Autorità Palestinese, e non Hamas? O si tratta forse di due popoli palestinesi diversi, uno pacifista a Gaza e uno attivista a Ramallah? E se poi l’azione di Hamas è tanto mal vista a Gaza, come mai nessuno dei locali ha mai aiutato a liberare uno solo dei 251 israeliani rapiti, uccisi e torturati?
L’ipotesi dei dati affatturati a Gaza, poi, è una spada di Damocle considerando che i numeri che dominano la scena mediatica in tutto il mondo non sono quelli delle opinioni dei Gazawi, ma quelli dei Gazawi morti. Qui esiste un vero problema che se da un lato è tecnico, dall’altro è di coscienza. Lo stesso Shikaki riconosce che il campione di indagine a Gaza non è completamente rappresentativo per mancanza di accesso alle zone sotto diretta occupazione militare israeliana. Una professione di onestà, che è stata ribadita in un altro sondaggio dello stesso Shikaki con il Prof. Michael Spagat di Londra, sul numero delle vittime.
In due miei articoli critici delle statistiche sui morti a Gaza, pubblicati sul quotidiano Haaretz, ho dimostrato che i numeri sono ampiamente gonfiati a causa delle dichiarazioni multiple del medesimo decesso da parte di più di un congiunto. I numeri diffusi dall’unica fonte, il Ministero della Sanità di Hamas, si riferiscono infatti alle dichiarazioni di morte, non ai corpi effettivamente transitati dall’obitorio. Pur tenendo conto delle vittime ancora sepolte sotto le macerie, la differenza fra i numeri di Hamas e la triste realtà ammonta a decine di migliaia. Certo, è senza precedenti una situazione in cui tutti, dall’ONU ai media internazionali, recepiscono acriticamente cifre manifestamente problematiche se non aberranti.
Nessuno può negare che a Gaza sia in corso una gigantesca tragedia umana, anche se le persone oneste dovrebbero aggiungere: iniziata a causa del delirante piano di Hamas di distruggere lo Stato d’Israele. Hamas ha mobilitato una grande massa di seguaci entusiasti o comunque pronti a condonare la strage del 7 ottobre. I dati di indagine, letti con cautela e senza isolare un numero singolo, svelano una realtà più complessa e lontana da un mondo ideale che non c’è.

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