Quando il manager Nick Shymansky è entrato nella vita di Lola Young, la cantante aveva appena 17 anni. Gli esordi da artista non sono stati facili, ma nel 2024 è arrivata la fama con Messy, la canzone diventata virale su TikTok che l’ha portata in cime alle classifiche di Australia, Irlanda e Regno Unito, facendone una delle voci più rappresentative della Gen Z. Un successo dolce-amaro, mescolato alle coraggiose ammissioni della ragazza sulla propria salute mentale e su diversi problemi fisici, come confermato dal recente svenimento durante il suo live al All Things Go Music Festival, al Forest Hills Stadium di New York, lo scorso 27 settembre.
Related StoriesCosa è successo a Lola Young sul palco?
Come documentato da numerosi fan presenti al concerto, durante la performance del brano Conceited Lola Young ha cominciato a barcollare, le parole non sembravano uscirle dalla bocca. Il vano tentativo di comunicare al proprio team che stava per avere uno svenimento (A faint, a faint is coming…) e all’improvviso la caduta all’indietro. Il crollo è avvenuto davanti allo sguardo attonito del pubblico, prima dell’arrivo dei soccorsi. La cantante è stata poi portata dietro le quinte per ricevere assistenza medica e solo dopo qualche ora ha potuto tranquillizzare i fan attraverso una storia su Instagram.
“Ciao, per chiunque abbia visto il mio set All Things Go oggi, ora sto bene. Grazie per tutto il tuo sostegno, Lola”. Poche parole per tranquillizzare il proprio affezionato pubblico, che tuttavia resta in allerta. Poco prima del malore, la cantante infatti aveva confidato al pubblico di attraversare un periodo complicato, ma di avere scelto comunque di esibirsi. Solo il giorno prima aveva cancellato una performance a Londra per “una questione delicata” non meglio identificata. Tempo prima il già ricordato manager, Nick Shymansky, aveva espresso sui social la necessità di tutelare la salute di Lola. “È una persona straordinaria, prende tutto molto sul serio, dai fan, alla carriera, alle esibizioni. Mi scuso per i disagi causati”, aveva scritto il talent scout. Parole che, riavvolgendo il nastro della memoria, riportano indietro a Amy Winehouse, la talentuosa artista trovata morta nel 2011, all’età di 27 anni, nel suo appartamento di Londra, fiaccata dall’abuso di alcol e droghe, oltre che da disturbi alimentari.
Perché con Lola Young si torna a parlare di Amy Winehouse?
Il filo rosso che collega le due artiste è proprio Nick Shymansky, amico d’infanzia di Amy e suo primo manager dal 1999 al 2006, prima che il fatale incontro della cantante con il futuro marito Blake Fielder-Civil la trascinasse nel baratro della dipendenza. Purtroppo è una storia di (ex) dipendenza anche quella di Lola Young, che non ha mai nascosto di essere affetta da un disturbo schizoaffettivo, diagnosticatole a 17 anni, e di essere in continua lotta contro l’abuso di alcol e cocaina. Un “viaggio continuo”, come l’ha definito l’artista, che in molti temono possa essere senza ritorno.
Amy Winehouse nel 2007.
“Can Lola Young make it big without breaking?”, si è chiesto il New York Times alla vigilia dell’uscita del terzo album intitolato I’m Only F**king Myself dello scorso 19 settembre. “Lola Young può diventare grande senza uscire di testa?”. Una domanda coraggiosa e non scontata che riflette la maggiore consapevolezza che industria della musica, media e pubblico hanno maturato negli ultimi 15 anni in tema di salute mentale e dipendenze.
Secondo il suo agente, Lola arriverà dove Amy Winehouse non è riuscita ad arrivare. E non per un fatto di talento, ma perché tra alti e bassi, ravvedimenti e autosabotaggi, Lola ha accettato volontariamente di intraprendere un percorso di riabilitazione. Anche Amy ci provò per un breve periodo, ma a mancarle fu il sostegno della discografia, che invece adesso pare preoccuparsi, almeno all’apparenza, di preservare la salute mentale dei propri artisti. Il suo percorso “non sarà perfetto”, come afferma Shymansky, “ma credo che Lola Young possa lavorare sulla sua salute mentale e affrontare i suoi demoni. Credo che possa crescere, diventare grandiosa e che possa avere tutto”. Nessuno vuole che il suo nome si aggiunga alla lista del Club 27, di quei cantanti cioè stroncati nel fiore degli anni, a soli 27 anni, come avvenne per Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison e, appunto, Amy Winehouse.
