Gianfranco Fini batte ai punti Lilli Gruber, smonta il suo modello di intervista, dove conta che l’ospite corrisponda esattamente a quello che lei ha previsto nel canovaccio della puntata. Se non è così, si disorienta, perde la pazienza e diventa aggressiva. Fini ha capito bene il suo punto debole e l’ha spiazzata continuamente. L’effetto è stato devastante. Ogni volta che Gruber cercava di incastrarlo, Fini si sottraeva con calma. Ogni volta che lei insisteva, lui ribaltava la prospettiva. Non ha mai concesso l’ammissione che la conduttrice cercava, non si è lasciato trascinare nell’arena del processo televisivo. E così, in poco tempo, Gruber è apparsa vulnerabile: nervosa, smarrita, privata della sua arma più potente, ovvero il controllo assoluto della scena.

Per lo spettatore, abituato a vedere Gruber gestire gli ospiti con lo sguardo tagliente e l’ironia superiore, è stata una sorpresa. Per una sera, il talk show si è rovesciato: non era la giornalista a incalzare il politico, ma il politico a dettare i tempi e a guidare il confronto. E lo ha fatto senza ricorrere a urla o slogan, ma mostrando un uomo di una destra che preferisce il dialogo alla rissa, il pragmatismo all’ideologia.

Di problemi Fini ne ha creati molti giovedì sera, e qualcuno lo ha creato ad Andrea Salerno, direttore di La7, che dovrà fare un’attenta riflessione: continuare con la giornalista altoatesina o cedere la prima serata alla coppia Luca Telese-Marianna Aprile come accade nei mesi estivi? La televisione è spietata: basta un inciampo per mostrare che il re è nudo. Giovedì sera a essere nudo non era tanto Fini, tornato sulla scena con sorprendente lucidità, ma il modello Gruber. Per una volta, il pubblico non ha visto la giornalista implacabile che conduce il processo mediatico, ma un ospite che la mette all’angolo con calma glaciale. È stata la dimostrazione che lo schema si può ribaltare, che il conduttore non è invincibile, che la televisione vive di imprevisti.

Tullio Camiglieri