Vivo nelle Marche da 25 anni, oltre a essere per metà marchigiano. Conosco le realtà della regione quanto basta per avanzare un’affermazione netta: il risultato di questa tornata elettorale – che vede il presidente uscente della regione Francesco Acquaroli vincente sul candidato di centrosinistra, l’europarlamentare Matteo Ricci – ci dice molto più di qualsiasi altra competizione regionale a venire che Giorgia Meloni e il centrodestra continueranno a governare anche l’Italia per almeno un decennio.
Tale affermazione è supportata da alcuni elementi che provo a sintetizzare.
Innanzitutto, Matteo Ricci è un animale politico di razza, in assoluto il miglior candidato che il centrosinistra poteva individuare per provare a scalzare dalla poltrona di governatore Francesco Acquaroli. Malgrado sia stato fatto oggetto di un’indagine giudiziaria, infatti – tanto fumosa e finora inconsistente, quanto insidiosa – a pochi mesi dalle elezioni (con tanto di avviso di garanzia a giugno), Matteo Ricci è riuscito là dove quasi ogni altro candidato sarebbe crollato impietosamente: condurre malgrado questa spada di Damocle una campagna elettorale capillare, indefessa ed efficacissima sul piano della comunicazione. Inoltre, se è vero che Acquaroli ha potuto godere di un appoggio incondizionato e infaticabile da parte dei leader nazionali del centrodestra, lo è anche il fatto che Ricci può vantare una visibilità mediatica e una capacità oratoria di gran lunga superiori a quella del presidente rieletto. Insomma, lo dico per inciso, se il centrosinistra pensasse di depennare Matteo Ricci dagli uomini con cui provare a costruire un centrosinistra rinnovato e credibile, commetterebbe un grave errore. Ciò al netto di una classe politica mediamente mediocre da entrambe le parti ma anche della sostanziale incolpevolezza di Ricci per questa sconfitta.
Qui arriviamo alle note dolenti per il centrosinistra.
Sì, perché lo stesso Ricci ha lodevolmente condotto la propria campagna elettorale insistendo su argomenti rispetto ai quali tanto il centrosinistra locale quanto quello nazionale hanno profuso indifferenza, quando non prodotto scempi, nel passato recente: penso alla sanità pubblica (smantellata e comunque impoverita durante i governi di centrosinistra, soprattutto nelle zone dell’entroterra), ma anche alle questioni sociali (lavoro, scuola, tutela delle imprese, diritti e tutele dei lavoratori annullati per legge etc.) nonché culturali (con troppe iniziative e manifestazioni che non riescono a fuoriuscire dalla logica angusta della sagra di paese o della festa della salsiccia).
Ciò ha contribuito a rendere il lavoro di Acquaroli, tutt’altro che perfetto ma comunque silenzioso, umile e rispondente ai bisogni concreti della popolazione (in piena coerenza con lo spirito del marchigiano medio), assai più credibile rispetto alle promesse in pompa magna avanzate da un candidato il cui schieramento di provenienza ha molto da farsi perdonare.
Inoltre, quando la presidente Meloni insieme ai vicepremier Tajani e Salvini sono venuti nella regione per supportare Acquaroli, hanno dato la netta impressione di una compagine variegata ma coesa, in grado di far sentire agli elettori marchigiani che il presidente Acquaroli sarebbe stato supportato dal governo centrale con evidente beneficio per tutta la regione. Lo stesso non si può dire per un centrosinistra la cui autorevolezza raramente supera quella di una buona rappresentante di Istituto (Elly Schlein), di affascinanti ma inconsistenti capetti del collettivo studentesco (Fratoianni e Bonelli), nonché di un leader pentastellato (Conte) che fino all’ultimo è stato indeciso se gli conveniva maggiormente prendere le distanze dall’indagato Ricci oppure rianimare l’anima antisistema dell’originario Movimento Cinque Stelle (in questo, probabilmente, reso indeciso da molti militanti marchigiani).
Inutile dire che tali limiti macroscopici – denotanti fra le altre cose una coesione a luce molto alternata – non li ha pagati né li pagherà soltanto il parzialmente colpevole Ricci (che forse dovrebbe circondarsi di meno improbabili “yes men and women” e più collaboratori strutturati ed esperti), ma riguarderanno tutto il futuro di un centrosinistra che, ad oggi, è ben poco in grado di incidere sulla realtà. Centrosinistra che riesce ad essere unito ed efficace soltanto sulle battaglie civili, spesso a favore di categorie minoritarie e non di rado velleitarie, oppure sulle questioni internazionali che consentono slanci utopistici, ma in compenso carente di progetti concreti per un’Italia che si è scoperta terribilmente piccola e fragile nel mondo post-novecentesco.
Ecco perché a queste condizioni, vere tanto nella realtà marchigiana quanto in quella nazionale, la presidente Meloni e il centrodestra possono dormire sonni tranquilli.
Piccola postilla anche sulla scarsa affluenza dei marchigiani (ha votato un cittadino su due), che ben lungi dall’essere un popolo indifferente e disimpegnato, preferisce piuttosto mettere in campo serietà e concretezza. Le stesse che possono spingerti a non votare affatto, a fronte di un manifesto disprezzo verso tutte le opzioni in ballo. Anche su questo aspetto, c’è da scommetterci, Marche chiama Italia…