«L’inno italiano mi mette i brividi», racconta Ekaterina, una delle protagoniste dell’ennesimo trionfo della Nazionale. «Sono alta 2 metri: non è sempre bello»
In questa storia, oltre alla “geografia”, c’è molto di più. C’è l’orgoglio di indossare un colore, l’azzurro, per «scelta» (parole sue) e di cantare un inno, quello italiano, che «mi mette i brividi». Ekaterina Antropova, Kate per tutti, è nata in Islanda da genitori russi, ha vissuto a San Pietroburgo per poi trasferirsi a Reggio Calabria e a Sassuolo per inseguire il suo sogno (e quello della sua famiglia): diventare una campionessa di pallavolo. Missione riuscita. Da quando, nel 2023, ha giurato sulla nostra Costituzione e ottenuto il passaporto per meriti sportivi, Kate con la Nazionale ha vinto Nations League e Giochi Olimpici (2024) e pochi giorni fa anche il titolo mondiale in Thailandia. – foto
Un gruppo quello allenato da Julio Velasco di fenomeni.
La raggiungiamo durante la sua unica settimana di vacanza dell’anno prima di riprendere a giocare con la Savino del Bene Scandicci: «Sono rimasta a Firenze», ci racconta. «È venuta a trovarmi una delle mie migliori amiche dalla Russia. E le sto facendo vedere i miei posti del cuore, qui».
A proposito di Russia, che ricordi ha? «I primi passi della pallavolo assieme alla mia amica e alla mia allenatrice dell’epoca».
Ha iniziato subito col volley? «No, mia mamma mi ha fatto praticare tantissimi sport, compresi la ginnastica ritmica e il nuoto, discipline che mi sono servite. Ho un buon equilibrio nonostante l’altezza».
Sua madre giocava a pallamano ed è alta 190 cm, suo papà a basket e misura 212 cm. Non ha mai pensato di cimentarsi nei loro sport? «No, no, mai. Nel basket mio papà faceva molta fatica sotto canestro, perché era molto magro. Se avesse scelto anche lui la pallavolo forse avrebbe avuto una carriera migliore. E anche io sono sempre stata molto esile; insomma, gli sport di contatto non sono mai stati un’opzione».
Olimpiadi e Mondiali, a 22 anni ha vinto i titoli più importanti della pallavolo grazie alla Nazionale. Quanto è grande l’azzurro nel suo cuore? «È grandissimo. Sono russa, è vero, ma l’Italia io l’ho scelta. E sono orgogliosa di rappresentarla, sentire l’inno sul gradino più alto del podio con la bandiera è qualcosa che mette i brividi. Sempre».
La scelta di venire in Italia fu di sua mamma? «No, del mio patrigno. Lui è un medico sportivo e sapeva che in Italia ci sono le condizioni migliori anche a livello tecnico per crescere nella pallavolo».
E tuo padre era d’accordo che tu ti trasferissi in Italia? «Lui è felice se io sono felice. E da ex sportivo sapeva che era una ottima occasione. E sa che per riuscire ad arrivare in alto bisogna fare sacrifici. Ci vediamo ogni tre anni. Ma ci sentiamo spesso. È orgoglioso di me».
Come vive il divieto di gareggiare per le squadre e molti atleti russi? «La risposta non è semplice. Non si sa dove sia il confine, se una scelta politica che riguarda lo sport sia la migliore. Non sono in grado di rispondere. Vorrei solo che tante atlete russe possano presto dimostrare il loro valore anche a livello internazionale con la Nazionale».
Il ct Velasco, quello che tocca lo trasforma in oro. Qual è il suo segreto? «Non saprei. E anche se ne avesse uno, meglio non rivelarlo se no lo copierebbero. Noi però siamo un gruppo pazzesco, atleti e staff».
Quando in campo sbaglia, le parolacce le dice in russo o in italiano? «Ogni tanto qualcosa in russo, mi sfugge. Ma uso l’italiano che è una lingua molto, molto espressiva con le parolacce» (ride, ndr).
Lei parla cinque lingue, come va col dialetto fiorentino, lo sta imparando? «Faccio ancora fatica con la C».
A che punto è con i suoi studi? «Studiavo moda on line, ma non potendo frequentare ho cambiato e optato per psicologia. E mi piace».
Si dice che lei legga molto: quanti libri al mese? «In Thailandia me ne sono portati cinque, ma non sono l’unica. Anche Sarah (Fahr, ndr) legge tantissimo. L’ultimo che ho letto è Agosto blu di Deborah Livi, ora mi sono buttata su un libro di psicologia in russo, Il Problema Spinoza, che mi ha regalato il mio patrigno».
Ha mai misurato l’altezza massima che raggiunge saltando? «No (ride, ndr). Ma di sicuro sopra i due metri».
Anche perché lei è alta 2.02.È mai stato un problema per l’altezza? «Da ragazzina è stato più difficile rispetto a ora. Le persone ti notano di più e ci sono giorni in cui non vorresti essere osservata. Ma la gente si gira, ti guarda e commenta. Io non so quante volte al giorno sento dire: “Mamma come sei alta, ma quanto sei alta”. Ma non sono complimenti! Io sono abituata e ci convivo. Ma certe ragazzine potrebbero sentirsi ferite. Le persone ci riducono solo all’altezza, ma io sono molto di più».
Il dualismo mediatico con Paola Egonu, questo eterno confronto, quanto l’hanno segnata? «Non basta trasferire valori importanti, non servono nemmeno le vittorie che portiamo. Mi fanno sempre le stesse domande, e questo mi fa preoccupare. Ma non si stufano mai?».
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