I trattamenti oncologici possono compromettere il potenziale riproduttivo nelle donne che sviluppano un tumore al seno in giovane età. Proprio per questo motivo è fondamentale una consulenza precoce sull’oncofertilità e rendere disponibile l’accesso a stratgeie di preservazione della fertilità. Lo ribadisce uno studio italiano, pubblicato di recente sulla rivista Therapeutic Advances in Medical Oncology, che si è posto l’obiettivo di analizzare le scelte di protezione della fertilità e il loro successo in donne con tumore al seno, condotto presso la rete Gemme Dormienti. Approfondiamo il tema con Mariavita Ciccarone del Dipartimento di ginecologia dell’Ospedale San Carlo Nancy di Roma, oltre che presidente e fondatrice dell’associazione Gemme Dormienti.
Mariavita Ciccarone
Le Gemme Dormienti
«L’associazione Gemme Dormienti è nata perché nella pratica quotidiana di ginecologa vedevo troppo spesso donne giovani che dopo i trattamenti oncologici perdevano la possibilità di avere bambini – racconta Ciccarone -. L’associazione ha l’obiettivo di indirizzare donne e bambine, con malattie oncologiche e patologie croniche invalidanti che possono incidere sulla fertilità (malattie reumatiche, endometriosi, familiarità per menopausa precoce, talassemie, sindrome di Turner, ecc.), a un percorso di conoscenza ed informazione, per rendere queste “gemme dormienti” consapevoli delle loro scelte e delle loro opportunità per sbocciare poi al momento giusto e quindi garantire loro una migliore qualità di vita futura».
Gemme Dormienti ha creato un percorso si assistenza che inizia all’interno dell’Ospedale San Carlo Nancy, presso il servizio di endocrinologia ginecologica. Nel momento in cui gli oncoematologi, gli oncologi, i pediatri o altri specialisti chiedono una consulenza per una giovane donna o la paziente stessa si rivolge al centro, si attiva entro 24-48 la sua “presa in carico”. La giovane viene visitata, le si fa un prelievo ormonale per fare un bilancio di fertilità e l’ecografia pelvica con conta dei follicoli antrali e analisi dello spessore dell’endometrio. Inoltre vengono illustrate le possibili strategie per la preservazione della fertilità.
«Nel caso delle pazienti oncologiche ci relazioniamo sempre con l’oncologo. Inoltre abbiamo la possibilità di offrire un supporto psiconcologico, di avvalerci della consulenza genetica, di un servizo di supporto nutrizionale nonché della consulenza giuridica qualora fosse necessario» spiega Ciccarone.
Il nuovo studio
Nel nuovo studio retrospettivo è stata valutata l’adozione della consulenza per la preservazione della fertilità, la scelta delle tecniche di preservazione e gli esiti riproduttivi in 100 donne della rete Gemme Dormienti, di età compresa tra 18 e 39 anni con tumore al seno.
Le parteciapnti sono tate sottoposte a valutazioni della riserva ovarica all’inizio del loro percorso, comprese valutazioni ormonali ed ecografiche. «Tutte le donne hanno ricevuto una terapia con agonisti dell’ormone di rilascio delle gonadotropine (GnRH) prima della chemioterapia, un trattamento che permette di ridurre il danno alla fertilità nelle pazienti oncologiche, determinando uno stato di riposo ovarico che rende gli ovociti meno attaccabili dai farmaci. Sono stati quindi raccolti dati sulle scelte delle tecniche di preservazione della fertilità quali la crioconservazione degli ovociti e/o del tessuto ovarico, e sugli esiti dell’eventuale gravidanza» puntualizza Ciccarone
La crioconservazione degli ovociti prevede la raccolta degli ovociti, previa stimolazione ovarica, prima che la paziente inizi la chemioterapia. Gli ovociti così raccolti vengono congelati e potranno essere utilizzati se la paziente, guarita, avrà difficoltà ad avere una gravidanza naturalmente.
La crioconservazione di tessuto ovarico consiste invece nell’asportazione di frammenti di tessuto ovarico, sempre prima della chemioterapia. Il tessuto potrà poi essere reimpiantato ad avvenuta guarigione in caso di necessità.
Le scelte delle donne
I dati raccolti mostrano che più della metà delle pazienti ha seguito procedure di preservazione della fertilità. In particolare il 35% ha optato per la crioconservazione degli ovociti, il 55% per la crioconservazione di tessuto ovarico e il 10% per eseguire entrambe le procedure.
«Abbiamo visto che le pazienti più giovani (18-29 anni) erano più propense a optare per le tecniche combinate, verosimilmente per avere maggiori possibilità in futuro nel caso decidessero di avere dei figli – osserva Ciccarone -. I tassi di gravidanza sono stati invece più alti tra le donne di età compresa tra 35 e 39 anni. Ciò si spiega con il fatto che queste pazienti più avanti con gli anni erano quelle che più aspiravano alla maternità».
I dati raccolti hanno infine evidenziato, come prevedibile, che gli indicatori della riserva ovarica (tra cui la conta dei follicoli antrali e lo spessore dell’endometrio) mostravano un declino all’aumentare dell’età.
L’importanza di una consulenza precoce e personalizzata
«I dati dello studio mostrano che solo otto donne hanno avuto una gravidanza. Per tanto che preserviamo (54% delle partecinati), ad oggi abbiamo quindi avuto pochissimi nati. Questo perché le tecniche sono recenti e molte donne non hanno ancora recuperato ciò che avevano messo da parte. Nonostante ciò pesso che sia importante portare avanti la battaglia per la preservazione della fertilità, superando le diffidenze delle pazienti e talvolta degli stessi medici» segnala Ciccarone.
Molte donne, in particolare quelle che hanno avuto un tumore al seno ormonosensibile, hanno paura di fare la stimolazione ovarica (necessaria per la cioconservazione) prima delle terapie oncologiche, ma ormai la letteratura scinetifica ha dato forti rassicurazioni: un singolo ciclo di stimolazione ormonale non ha conseguenze sulla prognosi oncologica.
«Non c’è motivo per non fare la consulenza per la fertilità e bisognerebbe farlo sin dall’inizio quando la donna ha la diagnosi ed è impegnata negli approfondimenti diagnostici. Fornire una guida personalizzata è cruciale per consentire alle donne di prendere decisioni informate sulle loro opzioni di conservazione della fertilità e aiutare a salvaguardare le loro possibilità di diventare madri dopo il trattamento del cancro» conclude Ciccarone.
Antonella Sparvoli