Un momento del progetto Mixed Ability Sports con Martino Corazza

Un momento del progetto Mixed Ability Sports con Martino Corazza – Mixed Ability Sports/Daniel Fernandez Perez

«La vera vittoria sarà quando non si parlerà più di inclusività», una battuta di Martino Corazza, fondatore di International Mixed Ability Sports, che nasconde una grande verità. Attenzione anche qui ai termini: Mixed Ability, abilità miste. Non disabilità, ma abilità. In breve, un’associazione che sogna (e ci riesce) di riunire persone di tutte le abilità per praticare sport insieme e imparare gli uni dagli altri, dando a tutti l’opportunità di realizzare il proprio potenziale. Il Mixed Ability nasce dalla mancanza di opportunità per le persone disabili di prendere parte allo sport di base tradizionale, senza essere separate, classificate o identificate. Proprio come le persone disabili, troppi individui e gruppi sono ancora esclusi o segregati a causa dello stigma, delle attitudini negative, del pregiudizio o della percezione personale delle proprie capacità. Questo deve cambiare. Il piemontese Martino Corazza parla dalla ‘sua’ Bradford, là nel centro dell’Inghilterra tra Leeds e Manchester, ci vive dal 2012 e per arrivare a ciò che oggi è la International Mixed Ability Sports bisogna andare indietro di trent’anni almeno: «Ho iniziato a giocare a 14 anni a rugby, mi ha aiutato negli anni dell’adolescenza, poi ho iniziato a lavorare come insegnante di sostegno nelle classi primarie e secondarie; in Italia non funziona come in Inghilterra, dove vi sono scuole speciali, da noi i ragazzi sono nelle classi con i ragazzi ‘normali’, però ovvio che ci sono tanti problemi. Notai subito che i problemi non c’erano nell’ora di educazione fisica. Sì, lì c’era la vera integrazione con i compagni di classe, però erano solo due ore alla settimana, troppo poco». Il rugby per Corazza è sempre lo sport della vita, così nasce il Rugby Chivasso, oggi anche “Chivasso Rugby Onlus – Il rugby inclusivo”, e in quel club i ragazzi disabili, ognuno con le proprie abilità, iniziano a giocare insieme agli altri ragazzi. «Si era compiuta una prima magia, i numeri sono subito cresciuti, il seme era gettato. Poi nel 2012 mi sono trasferito in Inghilterra, anni importanti, perché il tema paralimpico era in gran voga essendoci state le Paralimpiadi proprio a Londra e il rugby era al top in previsione della Coppa del Mondo da organizzare nel 2015. Un mix vincente. Il sogno inizia anche a livello internazionale. Inghilterra o Galles che sia, i ragazzi diversamente abili giocano insieme ai normodotati, partite quasi normali, dove l’intelligenza di tutti è messa alla prova. Certo perché se sei un normodotato e stai per placcare un disabile devi cablare la tua forza, devi regolarti, devi pensare a cosa stai facendo, devi immergerti nel suo mondo e nel suo modo di fare. Ma nel rugby è semplice, il rispetto per l’avversario esiste da sempre, in questo gioco misto è esaltato. C’è il contatto fisico, c’è la touche, solo la mischia è senza spinta ma pilotata. Un equilibrio fragile in campo ma che magicamente si crea. L’ideale è che vi sia un 50% di atleti normodotati e con disabilità, ma il numero è libero, ci si adegua». Il livello del gioco cresce, in Inghilterra ci sono almeno 50 club che hanno la squadra Mixed Ability, nel mondo circa 250, in Italia una decina, dalla Capitolina di Roma a squadre di Brescia, Padova, Torino, Alessandria, Chivasso, appunto: «Ogni tre anni organizziamo l’IMART, il mondiale di rugby Mixed Ability per club; la quarta e ultima edizione è stata in Spagna, con 32 squadre tra maschili e femminili. Sessi divisi perché vogliamo raggiungere il massimo livello di normalità in tutto, rispettando tutti i regolamenti, compresa la separazione tra uomini e donne». Tutto si evolve verso il massimo della “normalità”: «Ora oltre al rugby il modello Mixed Ability si è sparso ed evoluto in almeno altre venti discipline, dall’hockey su prato in Argentina al canottaggio e anche al cricket qui in Inghilterra, vogliamo normalizzare il più possibile. Siamo in totale 30 nazioni e anche nel nostro organigramma ci sono persone con disabilità, ed è giusto così, perché loro più di tutti quando vanno nelle scuole, nei club, nei convegni riescono a trasmettere la bellezza di essere tutti insieme e uniti». Il Mixed Ability è dunque molto diverso per il disabile che fa il suo singolo sport, magari da solo. Qui si enfatizzano attività regolari e frequenti, strutturate, si crea appartenenza a club e opportunità di interazione sociale per tutti. Il pensiero poi torna al grande amore, il rugby e i suoi principi cardine, tra lealtà, rispetto, educazione: «Il rugby è uno sport davvero per tutti, non pensiamo ai grandi professionisti di oggi dai fisici straordinari e palestrati, pensiamo al rugby di base, quello dei ragazzini delle scuole o anche degli adulti, i cosiddetti ‘old’. Da sempre vige la legge che il rugby è per tutti, c’è un ruolo adatto a tutti: alto, basso, grasso, magro, veloce e scattante o lento e massiccio. Ognuno trova posto. Ancora di più trovano posto i diversamente abili con i loro fisici o le difficoltà motorie o cognitive. E poi ci sono talenti anche qui. Ho giocato tanti anni e mai ho imparato davvero a calciare l’ovale, io come tanti altri. Ho conosciuto disabili con piedi sopraffini, davvero bravi. E ti viene da pensare dunque, chi è il vero disabile?».