La coordinatrice delle pari opportunità Uil Calabria Anna Comi in dopo il report presentato sull’accesso agli screening oncologici per le donne calabresi sia ancora limitato, si è interrogata su quale fosse la saturazione per le donne detenute nella nostra regione.
“In Calabria -spiega Comi- non esistono istituti penitenziari autonomi ma sezioni femminili collocate in istituti a prevalenza maschile a Reggio Calabria e Castrovillari.
A Reggio Calabria si tratta di un istituto penitenziario misto, la Casa Circondariale “Giuseppe Panzera”, che ospita sia uomini che donne, con sezioni femminili interne (la sezione Nausicaa, la sottosezione Penelope e la sezione Athena che risulta attualmente chiusa).
A Castrovillari, invece, la sezione femminile si trova all’interno della Casa Circondariale “Rosetta Sisca”, anch’essa un istituto prevalentemente maschile, con una singola sezione dedicata alle donne. Dall’analisi di queste due uniche strutture carcerarie femminili calabresi è emerso un quadro disomogeneo e poco rassicurante: sebbene in entrambi gli istituti sia previsto il servizio di ginecologia, la sua erogazione è sporadica (una volta al mese), manca del tutto un servizio ostetrico continuativo.
Inoltre non risultano attivati screening oncologici strutturati, come il Pap test o la mammografia, a conferma di quanto già denunciato nel rapporto Antigone, che ne richiede l’introduzione come diritto essenziale e paritario per le donne private della libertà. Una situazione che pone interrogativi gravi in termini di diritto alla salute, equità e dignità, specie per una popolazione già fortemente vulnerabile.
Come spiega l’ultimo rapporto Antigone, in Italia, come in molti altri Paesi, il carcere è stato storicamente pensato per una popolazione detenuta maschile. Le donne rappresentano una minoranza numerica e, per questo, si trovano spesso a vivere in strutture marginali, sezioni adattate, o in istituti promiscui dove la loro presenza risulta secondaria.
Il carcere non si è mai modellato realmente sulla detenzione femminile, e ciò si riflette nella carenza di norme, prassi, spazi e servizi adeguati ai loro bisogni. Antigone ha visitato tutti e tre gli istituti penitenziari esclusivamente femminili operanti in Italia, 44 sezioni femminili situate in carceri a prevalenza maschile, tre carceri minorili dove si trovano ragazze, sei sezioni per detenute trans in istituti maschili e cinque Icam (Istituti a Custodia Attenuata per Madri).
Nella nostra regione ha visitato sia Castrovillari che Reggio Calabria. Questo viaggio ha permesso di raccogliere dati, osservazioni e testimonianze fondamentali per comprendere la condizione delle donne detenute nel nostro Paese e nella nostra regione.
Una delle criticità centrali emerse è che le donne recluse hanno, nella maggioranza dei casi, uno scarso spessore criminale e una bassa pericolosità penitenziaria.
Provengono spesso da contesti di forte marginalità sociale, con situazioni pregresse di povertà economica, disagio educativo, violenze subite e percorsi di vita spezzati. Il carcere, in queste condizioni, rischia di non rappresentare una possibilità di recupero, ma di diventare un ulteriore fattore di esclusione.
Secondo il rapporto Antigone, entrambe le strutture calabresi riflettono l’inadeguatezza di un sistema carcerario non progettato sulle esigenze specifiche delle donne e necessitano interventi urgenti, sia materiali che normativi, per garantire una detenzione più dignitosa, inclusiva e orientata al reinserimento.
Reggio Calabria, secondo i dati di Antigone, soffre particolarmente per l’obsolescenza strutturale e l’assenza di programmazione trattamento, mentre Castrovillari, pur meglio organizzato, presenta carenze sistemiche sul piano sanitario e del personale specializzato.
Andiamo nello specifico. La sezione femminile della Casa Circondariale di Reggio Calabria, articolata in due sezioni – “Atena” (attualmente chiusa) e “Nausicaa” – ospitava al momento della visita 39 donne, di cui una parte in attesa di giudizio e una minoranza straniera. La struttura è molto datata, risalente agli anni ’30, e presenta gravi carenze strutturali, tra cui celle in cattive condizioni, spazi angusti, e talvolta mancanza del minimo di 3 mq calpestabili a persona. Inoltre, non sempre è garantita l’acqua calda.
Tra le principali criticità, spiccano l’assenza quasi totale di attività trattamentali e lavorative (lo spazio per le lavorazioni non è mai stato avviato), una grave carenza di personale, sia per quanto riguarda la polizia penitenziaria sia in termini di mediatori culturali e sanitari, l’assenza di un medico 24h e cartella clinica non informatizzata, un’alta incidenza di uso di psicofarmaci (oltre il 50% delle detenute) con presenza di più casi di diagnosi psichiatrica.
Risulta inoltre una biblioteca poco fruibile come spazio comune e una zona per l’aria ristretta e non attrezzata. Sul piano educativo, è attivo solo un corso di alfabetizzazione e il biennio delle scuole superiori, con poche iscritte. Le opportunità lavorative interne sono minime e non vi sono contratti con datori esterni.
Le attività ricreative e culturali sono poche e sporadiche. Non vi è accesso al web né un’area verde per i colloqui estivi. La sezione per le madri con figli “Penelope” è ben attrezzata, ma al momento della visita non vi erano detenute madri presenti. La sezione femminile della Casa circondariale di Castrovillari “Rosetta Sisca”, all’interno di un carcere prevalentemente maschile, è collocata in una palazzina autonoma su tre livelli e ospitava 30 donne a fronte di una capienza regolamentare di 17 posti.
Si registra quindi una situazione di sovraffollamento. La struttura, sebbene in buone condizioni generali, presenta criticità importanti come l’assenza di docce nelle celle, la carenza di personale psichiatrico e assenza totale di mediatori culturali, la riduzione della presenza medica a orari parziali, con servizio ginecologico mensile ma assenza di ostetricia.
Nonostante alcune lacune, la struttura appare più organizzata rispetto a Reggio Calabria. Gli spazi comuni (come biblioteca, sartoria, aule scolastiche e sala socialità) sono ben arredati e curati. La presenza di una ludoteca e di una sezione nido ben attrezzata rappresenta un elemento positivo, sebbene al momento inutilizzato per mancanza di madri con prole.
Sono attivi corsi scolastici di ogni ordine e grado, e un laboratorio di sartoria dove sono impiegate alcune detenute, anche se mancano percorsi professionalizzanti strutturati. Una sola donna è impiegata da un datore esterno al momento della visita. Le attività culturali e sportive, sebbene presenti, sono limitate dalla condivisione degli spazi con la sezione maschile.
A livello di salute mentale, si segnalano numerosi casi di autolesionismo e tentativi di suicidio nel passato, a fronte di una struttura psichiatrica non sufficientemente attrezzata. Entrambe le strutture, quindi, mostrano caratteristiche comuni di criticità, come il sovraffollamento, la carenze nei servizi sanitari e psicologici, la mancanza di figure specializzate come mediatori culturali o personale formato sul genere, l’accesso molto limitato a formazione, lavoro e attività trattamentali.
Alla luce delle criticità riscontrate nelle sezioni femminili degli istituti penitenziari calabresi di Reggio Calabria e Castrovillari — in particolare l’assenza di screening oncologici strutturati, di servizi sanitari continuativi e di adeguate opportunità trattamentali e formative — auspichiamo un deciso cambio di passo nelle politiche penitenziarie regionali.
C’è da specificare anche che con l’approvazione del decreto sicurezza diventa facoltativo l’attuale obbligo di rinvio della pena per le donne in gravidanza e le mamme con figli sotto i tre anni, che andranno negli istituti a custodia attenuata per detenute madri (Icam). Con la chiusura dell’Icam di Avellino, unico al sud, adesso gli Icam sono solo tre, tutti al Nord.
Questo vuol dire, per tante donne con bambini piccoli, allontanarsi centinaia di chilometri dal resto della famiglia e da altri eventuali figli. Inoltre, la relazione della Cassazione sul cosiddetto “Decreto sicurezza” è molto critica sulle norme che riducono o rendono più rigido il rinvio dell’esecuzione della pena per donne incinte o madri con figli piccoli perché la riforma andrebbe contro una giurisprudenza consolidata minando un equilibrio costituzionalmente orientato.
In sostanza la riforma non rafforza gli strumenti alternativi né la funzione educativa, ma si limita a togliere diritti e lasciare tutto sulle spalle dei giudici. Ci rivolgiamo quindi alla garante regionale per i diritti delle persone detenute, Giovanna Francesca Russo, chiedendo di farsi promotrice di un’azione concreta su questi temi che riguardano la parità di genere affinché si possa garantire alle donne detenute nella nostra regione il diritto alla salute e un accesso equo a percorsi di custodia attenuata, riabilitazione e reinserimento sociale”.