di
Alessia Cruciani
Da ChatGpt a Perplexity, sempre più utenti scelgono chatbot al posto dei tradizionali motori di ricerca. Ecco come sta cambiando la navigazione in rete
Una volta c’erano le parole chiave. Poi sono arrivate le domande. Ora, ci aspettiamo risposte. E vogliamo che siano rapide, sensate, affidabili. In pochi mesi si sta rivoluzionando uno dei gesti digitali più automatici e quotidiani: la ricerca online. E al centro del cambiamento c’è lei, l’intelligenza artificiale generativa.
Potremmo dimenticare le pagine di risultati piene di link sponsorizzati. Oggi sempre più persone — e non solo tra le nuove generazioni — si affidano a strumenti come ChatGPT, Gemini, Copilot e ora anche Comet, il nuovo browser Ai lanciato da Perplexity. Un salto non da poco: non si tratta solo di un motore di ricerca, ma di un «motore di risposte», capace di dialogare con l’utente, suggerire fonti attendibili, riassumere articoli, contestualizzare. Addio al «cerca e clicca», benvenuti nell’epoca del «chiedi e discuti».
Nuovi browser
Appena si digita qualcosa su un LLM (Large Language Model) — una curiosità, un dubbio, un «come si fa» — la risposta non arriva da una lista di link. Non c’è bisogno di cliccare su quello che ci convince di più. Perché l’intelligenza artificiale generativa risponde subito, in forma discorsiva, raccogliendo informazioni da varie fonti e rielaborandole come farebbe un collega super aggiornato. Se non è già la fine di un’era, è quantomeno l’inizio della fine. Significa che siamo già pronti a salutare la ricerca tradizionale a cui Google ci ha abituato da più di vent’anni?
Intanto, la mossa di Perplexity — che ha raccolto oltre 165 milioni di dollari in pochi mesi, attirando investitori come Jeff Bezos — è l’ultima spallata a un castello che sembrava intoccabile. Google continua a dominare il mercato con l’80% delle ricerche globali, ma l’introduzione degli Ai Overviews, le risposte sintetiche in cima ai risultati, segna un cambio di rotta che non passa inosservato. La Reuters ha scritto che Comet rappresenta il tentativo più concreto finora di sostituire Google non solo nelle ricerche, ma come interfaccia principale per navigare e interpretare il web. Il modello? Un assistente AI integrato nel browser, che accompagna l’utente mentre legge, cerca e approfondisce. Una rivoluzione silenziosa, ma dirompente.
Zero click
E Google? Sotto pressione, sta reagendo. Dopo il debutto nel 2024 di Ai Overviews — sintesi automatiche in cima ai risultati — ha integrato nella sua Search Generative Experience (SGE) nuove funzioni che ricordano da vicino l’approccio conversazionale dei chatbot. Ma c’è un problema: queste risposte riducono il numero di clic verso i siti esterni. Un problema, perché rischia di vacillare il modello pubblicitario su cui Google ha costruito un impero da trilioni di dollari.
Il fenomeno degli zero-click searches è già realtà: secondo il New York Post, il 69% delle ricerche di notizie su Google si conclude senza che l’utente visiti alcun sito, contro il 56% dell’anno precedente. Il traffico verso gli editori online è crollato: da 2,3 a meno di 1,7 miliardi di visite in un anno. Appena 13 mesi fa, apparire in cima ai risultati di Google era oro. Oggi, potrebbe non bastare più.
Ma in un approfondimento del Washington Post si sottolinea come sia troppo presto per parlare di crisi per il colosso guidato da Sundar Pichai: «Per ogni utente che arriva su un sito di notizie dopo una risposta da ChatGPT, 379 ci arrivano passando da Google», si legge sul quotidiano americano. Insomma, la crescita dell’AI è evidente — ChatGPT ha superato i 25 milioni di segnalazioni verso siti di news in pochi mesi — ma Google resta (per ora) il cancello d’accesso principale.
Nuove regole per farsi trovare
Di sicuro a essere in allerta è il mondo del Seo (Search engine optimization). Secondo il Wall Street Journal, il cambiamento imposto dall’Ai sta costringendo le aziende a riscrivere le regole del gioco. Nascono nuovi acronimi: AEO (Answer Engine Optimization), GEO (Generative Engine Optimization), AIO (Artificial Intelligence Optimization). L’obiettivo è essere scelti — e citati — dagli agenti intelligenti come fonte autorevole. Per farlo, servono contenuti chiari, strutturati, ben referenziati.
Ma c’è un’altra questione che agita gli operatori del web: l’affidabilità delle risposte. L’Ai è rapida, sintetica, ma non sempre precisa. Alcuni modelli — da Gemini a ChatGPT — possono generare risposte scorrette, parziali o perfino dannose, come dimostrato da recenti casi in ambito medico e legale. Uno studio dell’Università di Zurigo ha mostrato che la disinformazione generata dall’Ai è percepita come più credibile di quella umana, con un margine di errore di riconoscimento inferiore del 3%. Il rischio è doppio: da un lato notizie false ma verosimili, dall’altro un indebolimento della fiducia verso le fonti tradizionali.
Per difendersi, gli sviluppatori stanno affinando i criteri di selezione: ChatGPT, ad esempio, tende a privilegiare fonti autorevoli, istituzionali e trasparenti. Ma il controllo resta difficile, soprattutto nei contenuti generati in tempo reale.
Tra dati e servizi a pagamento
Sul fronte strategico, intanto, si apre una nuova battaglia: quella per i dati. Lo conferma ancora la Reuters in un’indiscrezione del 9 luglio: OpenAi sarebbe pronta a lanciare un proprio browser Ai, progettato per integrare le funzioni di ChatGPT direttamente nella navigazione, trattenendo l’utente all’interno dell’ecosistema OpenAI e sottraendo dati preziosi a Google. Il tutto mentre il Dipartimento di Giustizia Usa minaccia lo smembramento di Alphabet per abuso di posizione dominante.
Ma in questa corsa all’intelligenza artificiale c’è un elemento che molti dimenticano: i costi. Cercare su Google è gratis (apparentemente). Usare ChatGPT o Perplexity con le funzioni avanzate no. La versione «pro» di ChatGPT (basata su GPT-4o) costa 23 euro al mese. Perplexity offre ricerche gratuite, ma limita le funzioni premium agli abbonati (200 euro l’anno). Ma in Italia Tim sta già offrendo gratuitamente per un anno ai clienti consumer fissi e mobili la versione Perplexity Pro. L’intelligenza artificiale, insomma, è ancora un prodotto premium, e questo potrebbe rallentarne l’adozione di massa.
Google, dal canto suo, continua a puntare su un modello fondato sulla pubblicità. Ma anche questo modello è sotto stress: meno clic, meno inserzioni, meno dati. E il mercato pubblicitario, come il web stesso, sta cercando nuove strade. Insomma, se l’intelligenza artificiale non ha ancora «ucciso» Google, ha comunque già trasformato in modo profondo il nostro modo di cercare (e di fidarci).
Intanto noi utenti non dovremmo iniziare a porci una domanda: di fronte a strumenti e chatbot che danno risposte, quanto saremo disposti a pagarle?
Nuova app L’Economia. News, approfondimenti e l’assistente virtuale al tuo servizio.
SCARICA L’ APP
Iscriviti alle newsletter de L’Economia. Analisi e commenti sui principali avvenimenti economici a cura delle firme del Corriere.
28 luglio 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA