“Cosa vuol dire ‘ho pagato Krstovic 85 milioni al Fanta’?!”
Alla fine la questione è tutta qui: quanto siete disposti a sopportare per una ventina di minuti di buon cinema? Perché il finale di The Home è buon cinema. Non originale, non sperimentale, neanche particolarmente interessante ma buono: ben concepito, ben coreografato, iperviolento, catartico, cattivo senza essere crudele. È il resto che è una palla al cazzo. Tutto il resto. Un’ora e un quarto di noia sinistra, di affannosa ricerca di qualcosa che non trovano (la tensione, credo), di piedi pesanti trascinati sul vialetto che conduce al parcheggio per motocicli collocato dietro il diner che boh, mi sono perso, quest’ultima frase è completamente a caso, non ci sono diner in The Home. Però, ve l’ho già detto!, c’è la noia.
A me James DeMonaco (in italiano: Giacomo TheMonk) sta simpaticissimo. Mi sembra un caciarone che ha avuto un’idea del tipo “oh raga troppo spacchio” e manco s’è accorto che dietro quest’idea c’era anche della politica vera, e altrettanto vere profezie. Gliel’hanno fatto notare a un certo punto – imprecisato ma credo tra il primo e il secondo The Purge – e ha provato a puntarci più di quanto le sue risorse intellettuali gli permettessero, non nel senso che è scemo ma che non è un fine politologo ma un newyorkese che si è dovuto trasferire in Francia per qualche anno per scoprire che un Paese dove chiunque e il suo cane può comprare un’arma da fuoco al supermercato è un Paese che probabilmente svilupperà problemi con la violenza.
“Ma stiamo scherziamo?!”
Per cui ecco, dopo aver munto il franchise che l’ha reso ricco e famoso fino a trasformarlo in una parodia di sé stesso (per me i primi tre The Purge hanno tutti una loro dignità e li rivedo con piacere, il resto andrebbe consegnato ai cinghiali di Roma), il Giacomo ha deciso di tornare a fare quello che gli è sempre venuto meglio: un po’ di cazzo di casino. E purtroppo in questo processo di riscoperta della propria identità qualcosa dev’essere andato storto. Non sappiamo cosa, ma io un’idea ce l’ho: TheMonk una mattina si è svegliato e ha scoperto l’esistenza della A24. The Home non c’entra nulla con loro, eh! Solo mi immagino il nostro che si spara boh, Hereditary e da lì parte a cannone sul catalogo di quella casa che si chiama come un’autostrada, e comincia a leggere in giro le vecchie recensioni di questi film horror così diversi per ritmo e struttura da quelli a cui era abituato, e scopre le parole “slow burn” e lì perde il controllo.
Oh, sono sicuramente ingeneroso, eh? Figuriamoci se James DeMonaco non conosceva già questo modo di fare horror tornato tanto in voga che prevede di fare un film in cui non succede un cazzo finché non succede tutto di botto alla fine. E allora perché finora non l’aveva esplorato se non, volendo, di striscio nel primissimo atto del primissimo The Purge quando ancora al posto dell’orrore e della violenza c’era il worldbuilding? Dopo aver visto The Home, un’ipotesi ce l’ho: è perché gli viene di merda. SIGLA!
Un horror slow burn di fatto si regge su un patto intellettuale non scritto tra regista e spettatore, molto più che qualsiasi altro sottogenere adiacente. Lo slasher medio, per dire, si apre con un omicidio che alza subito la tensione. In un monster movie il mostro andrebbe rivelato solo sul finale, ma suggerito fin dall’inizio: quando dopo cinque minuti ho già intravisto la coda del coccodrillo gigante promesso dal titolo, sono a bordo e tu regista puoi raccontarmi la tua storia come vuoi. L’orrore a fuoco lento, al contrario, è tanto più efficace quanto è mascherato e celato fino all’ultimo istante possibile. Certo ci devono essere più o meno fin dall’inizio sottili suggerimenti che qualcosa non vada, ma più sparsi sono più hanno impatto al momento dell’immancabile epifania pre-massacro. Il tedio, la quotidianità, la routine, le scene che le vedi e dici ma che cazzo c’entra sta roba in un horror sono armi potentissime in questo sottogenere, e altrettanto rischiose da maneggiare: si tratta di spingere chi guarda a domandarsi costantemente “cosa sto guardando?” mantenendo la frase dal lato della curiosità e non del sospetto di perdita di tempo.
Voi non avete idea di quanto tempo mi abbia fatto perdere The Home.
Ci sono due regazzini, piccini piccini e tanto dolcini. Un idillio che dura il tempo per il maggiore di suicidarsi al primo anno di college: il minore si trasforma quindi nel personaggio di una brutta fiction italiana ambientata al Gratosoglio. È Max, il maranza protagonista di questo pasticcio, ed è proprio un ragazzaccio: dopo l’ennesima marachella e l’ennesima sfangata grazie al papà, Max viene spedito a fare lavori socialmente utili per evitarsi il gabbio. E dove viene spedito? In una per nulla inquietante casa di riposo, piena di vezzi inquietanti e vezze inquietanti.
Max ha il vezzo dei vezzi.
DeMonaco non fa neanche finta di provare a nascondere il fatto che l’edificio che dà il titolo al film si rivelerà essere teatro di orride manifestazioni di malvagità in terza età. Voglio dire, ce lo presenta così:
ATTENZIONE contiene anzianità
E quindi… capito il problema, no? In questa inquadratura siamo al minuto 07:45 e già sappiamo tutto del film. Un fuoriclasse a questo punto troverebbe il modo di sovvertire almeno qualcuna di queste aspettative. DeMonaco invece sgrana il rosario delle banalità e nei successivi tot minuti ci presenta:
– i colleghi stronzi di Max che chiaramente sanno cose
– alcuni vezzi pazzi e ingestibili
– l’inquietantissima persona che dirige la casa di riposo
– una singola vezza sana di mente che fa subito amicizia con Max e [redacted]
– una persona che giuro pronuncia la frase “puoi andare ovunque ma non al quarto piano” che è chiuso a chiave e da dietro le cui porte provengono urla belluine e lamenti infernali
E va bene, DeMonaco (ci pensate quanto il suo nome sia simile a “Demoniaco”?) non è un fuoriclasse. Un bravo mestierante, però, eseguirebbe il compitino senza sgarrare e mascherando la mancanza di idee dietro a termini tipo “omaggio” o “ispirazione”. E OK, DeMonaco non dovrebbe affrontare The Home come un mestierante, visto che se l’è scritto lui. Ma fuoriclasse non è, abbiamo stabilito.
A quanto pare, neanche mestierante.
Fa ridere perché sembra che gli abbiano disegnato dei cazzetti in fronte.
The Home è paludoso, ma senza il blues né l’atmosfera né i serpenti lunghi così che almeno avrebbero ravvivato un po’ la situazione. Procede lento ma tutt’altro che inesorabile: a tratti sembra che la lentezza sia frutto di pura indecisione su dove andare a parare con questa storia di vezzi che urlano da dietro le porte del quarto piano. Max ha la voglia di vivere di una persona che non ha particolare voglia di vivere, e forse per questo risulta più sopportabile di alcuni di questi anziani costretti all’overacting per dare un po’ di ciccia a scene che ti fanno pensare “ma cosa cazzo sto guardando?” virato perdita di tempo.
Poi oh, intendiamoci: Max indaga, le stranezze cominciano a montare, e alla fine in un modo o nell’altro DeMonaco riesce a inventarsi una scusa per mandare tutto affanculo e cominciare a massacrare gente.
“YEEEEEEEEEEEEEEEEE”
Lo fa in maniera sensata e non pretestuosa, non inventandosi all’ultimo un marchingegno narrativo intricatissimo che ci viene sbattuto in faccia con la forza di mille brucianti spiegoni ma arrivando con gradualità e tensione crescente al climax? Eh, indovinate. Però quantomeno lo fa: stavo per assopirmi quando è successo finalmente qualcosa di interessante, e da lì ai titoli di coda ho osservato lo schermo con aria compiaciuta sussurrando tra me e me “bravo Giacomo, questo è quello che un bravo mestierante avrebbe fatto fin qui”.
Ma appunto: è abbastanza? Bravo TU perché IO ho avuto la pazienza di sopportare un’ora e un quarto di brutti primi piani e scene notturne illuminate male? Io non so quanta gente vedrà questo film una volta che arriverà in streaming (in sala ha già floppato durissimo), ma soprattutto non so quanti tra quelli che lo metteranno su arriveranno fino alla fine. E pure io che l’ho fatto non sono sicuro di aver fatto la scelta giusta. Boh, Giacomino… hai cominciato scrivendo sceneggiature per Coppola e nel 2025 sei qui a fare film sul nulla, veramente sul nulla, non c’è neanche uno straccio di idea che vada oltre la (mediocre) forma, sai no Jack? Un film malriuscito ma che nasce da qualcosa, uno spunto, un qualcosa che non sia “in questa casa di riposo piena di vezzi inquietanti succedono le cose inquietanti. Max indaga”. E invece no, hai scelto il nulla, TheMonk, il nulla dipinto di niente e spruzzato di un po’ di sangue perché almeno quello ancora ti viene.
Forza Giacomino eh. Sei meglio di così.
Quote
«Peggio di così…»
(Stanlio Kubrick, i400calci.com)
PS:
“Neanche una parola sul cast?”
“No”
Dove guardare The Home