I motori 12 cilindri tacciono, non sono programmati test per le monoposto rosse sul circuito di casa. La pista di Fiorano è immersa nella quiete, ma il silenzio all’improvviso viene rotto da spari. Tre sequenze di colpi ripetute. Di chi sta maneggiando un’arma con una certa disinvoltura. Malvolentieri. Molto malvolentieri. Nessuno lo ha mai raccontato, ma un angolino del circuito era stato trasformato in una sorta di poligono di tiro. 

Tre persone si allenavano con la rivoltella e nel trio c’era anche Enzo Ferrari. Un Drake ormai anziano ma dotato di una mira infallibile, allenata già in gioventù con il Flobert, il fucile ad aria compressa, che, dopo una lunga insistenza, il padre gli aveva regalato.  

Insieme all’Ingegnere c’erano Dino Tagliazucchi, il fido autista del Commendatore per quasi vent’anni, e la guardia del corpo Valdemaro Valentini, un ex brigadiere della Stradale di Modena. Un… equipaggio che seguiva Re Enzo in ogni movimento, prim’ancora che gli fosse stata affidata una scorta, la “coda” come l’aveva sapientemente definita. Sulla Fiat132 preparata (era capace di toccare i 240 km/h) fra i sedili davanti c’era anche un fucila mitragliatore. E ogni giorno dovevano percorrere strade diverse, rompendo l’abitudinarietà di itinerari che per anni la vettura avrebbe potuto ripetere ormai da… sola. 
Roba da commando, mentre Ferrari avrebbe preferito occuparsi solo di automobili e di corse e non di armi.

Enzo Ferrari

Enzo Ferrari

Foto di: David Phipps

Questo è il quadro inedito, sconvolgente, che emerge dal libro di Andrea Cordovani “Il Mito da rapire – Enzo Ferrari e l’ombra dei sequestri” edito da Minerva. Il direttore di Autosprint da autentico “cecchino” dell’informazione è andato a ricostruire un lato oscuro dell’esistenza del sovrano di Maranello. 
Al di là della rigorosa ricerca storica che traccia un fenomeno molto diffuso negli Anni 70 sui rapimenti di persone, partendo dal “clan del marsigliesi”, emerge un Enzo Ferrari nel mirino dei criminali.  

Le immagini per lo più ancora in bianco nero della presentazione della 312 T2 a Fiorano testimoniavano uno dei momenti di maggiore soddisfazione per il Drake: era sabato 25 ottobre del 1975. Niki Lauda aveva vinto il mondiale e Mauro Forghieri aveva adattato la straordinaria arma del Cavallino ai nuovi regolamenti nella convinzione che l’austriaco avrebbe potuto costruire un bis che solo il terribile rogo del Nurburgring e il nubifragio del Fuji avevano fatto svanire quello che non era un sogno. 

Proprio in quel giorno la Polizia aveva sventato il rapimento di Ferrari mentre si stava facendo la barba nel negozio di fiducia, tappa obbligatoria di ogni giorno (tranne il lunedì, ma il servizio lo riceveva a casa). Si stava preparando a puntino per un evento a cui teneva tantissimo, quasi come a una vittoria.  

E quel giorno in qualche modo è cambiata la traiettoria della sua esistenza: le indagini, infatti, avevano confermato che la banda apparteneva al “clan dei marsigliesi”. Quello di Ferrari poteva diventare il sequestro del secolo e, per fortuna, non si è materializzato grazie alla Polizia. Ma la malavita ha toccato molto da vicino il Drake con la scomparsa dell’ingegnere Giancarlo Bussi, il motorista che ha contribuito con Forghieri alla nascita del 12 cilindri piatto, rapito e ucciso in Sardegna dove era in ferie. E poi ha patito il tentativo di trafugare la salma del figlio Dino dal cimitero di San Cataldo.  

Cordovani ci fa vivere la facciata del mito che si gode i successi in Formula 1, ma racconta anche le inquietudini dell’uomo Enzo, con i tormenti di chi era diventato un obiettivo sensibile nell’Italia degli anni di piombo.

Le testimonianze in prima persona di chi ha vissuto gomito a gomito con il Drake rendono molto ricco il racconto che si avviluppa a mandata doppia con le corse, le vittorie e le cocenti sconfitte. Ma l’affresco che emerge dalle 224 pagine è il ritratto inedito di un uomo che non è diventato Mito per caso. E lo era già in vita. 

Da leggere perché vale molto più dei 18 euro che costa…

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