Sean Penn torna al cinema con Una battaglia dopo l’altra (One Battle After Another), thriller politico scritto e diretto da Paul Thomas Anderson, che lo vede al fianco di Leonardo DiCaprio e Teyana Taylor. Il film segue la fuga di terroristi politici in un’America inquietante, sempre più vicina a un nazionalismo bianco autoritario. «Cos’è l’America? Sappiamo che non ha mai mantenuto le sue promesse per tutti. Ci vuole tempo per crescere, e va bene così. Mi dispiace se faccio parte di un gruppo privilegiato per colore della pelle o genere, ma il cambiamento richiede pazienza e impegno», ha spiegato al New York Times. Il riferimento alla sua famiglia è chiaro e sentito: «Mio padre (Leo Penn, eroe nella Seconda guerra mondiale) fu messo sulla lista nera dal Paese per cui aveva combattuto. Gli dissero che non poteva più lavorare, e lui non provò amarezza. Diceva solo: “Sono dossi di velocità nella costruzione di un Paese”. Io voglio pensarla così».

L’America che Sean Penn osserva oggi è intrappolata in «un periodo di incredibile imprevedibilità e bruttezza, stupidità, eccessiva dipendenza dalla tecnologia, uso improprio della stessa, disconnessione». Ma la sua risposta non è il cinismo: «Forse il modo per affrontare tutto questo è dire: “Va bene, cosa faccio domani?”. Tutto ciò che abbiamo sempre celebrato in America è avvenuto in una lotta. E indovinate perché? È questo che significa essere umani»

La sua critica si estende alle contraddizioni della società. «Ho perso sempre più la comprensione del perché, come Paese, siamo diventati così accondiscendenti alla polarizzazione pubblica, quando parlando tra di noi, si capisce che, sebbene ci sia questa incredibile faziosità che si esprime nell’affannosa corsa al potere della politica e dei media, non è così per gli individui». Riguardo all’assassinio di Charlie Kirk, attivista di destra, Penn sottolinea: «Mi è sembrato — anche se non l’ho seguito molto — uno di quei soggetti con cui certamente sono in disaccordo su quasi tutto, ma che credeva davvero in tutto ciò su cui eravamo in disaccordo. Non ho avuto l’impressione che fosse uno di quei venditori di fumo. Penso che ci serva una persona così. Ci serve quel dibattito. Dobbiamo confrontarci e trovare un compromesso. Se qualcuno crede davvero in qualcosa, allora è tuo alleato».

L’impegno sociale di Sean Penn rimane centrale. L’organizzazione di soccorso da lui fondata, Core, opera in zone di conflitto come l’Ucraina e il Sudan: «Non mi fido dei contatti governativi, non chiedo al mio team di andare dove non è sicuro. Ma siamo presenti in Ucraina dal primo giorno». Penn è netto anche sulla politica internazionale: «Putin ormai lo trovo trasparente e quasi privo di interesse. Credo che la sua incapacità di affrontare un mondo nuovo lo renda statico. Le espressioni che assume, l’inflessione della voce, ciò che c’è nei suoi occhi quando sorride, il sarcasmo, la sincerità quando è serio e dice questo o quello al suo popolo. Ho visto quella registrazione troppe volte e sono annoiato e disgustato da quello che è semplicemente un assassino».