Una scena del film Him

Universal Pictures

Dopo un incidente di cui non si coglie il motivo – chiaro invece al pubblico, che vede il protagonista colpito alla testa da un misterioso individuo travestito da demone – il futuro nel football per Cam sembra essere finito. Il ragazzo, però, non rinuncia a giocare e riceve persino una proposta unica da cogliere al volo. All’aspirante star è concesso di trascorrere del tempo insieme al quarterback per eccellenza nonché suo mito fin da quando era bambino, l’Isaiah dei San Antonio Saviors. Un allenamento intensivo nel corso del quale Cam imparerà i principi della leadership, dell’impegno, della resistenza e che, come in sette giorni Dio ha creato il mondo, così il ragazzo dovrà scegliere cosa fare del suo futuro dopo una settimana passata in un vortice di stranezze in continuo bilico tra il reale e il fantastico. Se tornare nell’oblio a cui la ferita lo ha destinato oppure diventare “lui”.

Cosa si è disposti a fare per essere gli eletti?

Se già dalle parole di Tipping sul processo di preparazione e genesi di Him emerge una certa goliardia, non sorprende ritrovarla completamente riversata in un’opera che è, sul serio, un viaggio psichedelico verso l’inferno — la stessa caduta necessaria per purificarsi ed elevarsi come eletto. Come prescelto, come nuovo Messia sceso in terra, in un racconto in cui bisogna essere disposti a sacrificare tutto per diventare i migliori, a volte persino se stessi. La pellicola non si risparmia in questo e spinge l’esagerazione al massimo, in virtù dell’anima folle e allucinata che il regista e sceneggiatore (alla scrittura con Skip Bronkie e Zack Akers) vuole evocare.

L’effetto, però, è più confusionario che stupefacente. Il film è talmente colmo di idee da non riuscire a seguirne nemmeno una. Né sul piano narrativo — dove lusso, irragionevolezza, training, religione e perfino la metafora dei gladiatori e del Colosseo si mescolano in un pasticcio il cui affanno nel voler scioccare e stupire finisce per inghiottire la pellicola stessa — né su quello estetico, con troppi stimoli: dal montaggio frenetico e stroboscopico di Taylor Joy Mason, alle sequenze tra spot e videoclip che interrompono la storia, fino alle immagini a infrarossi che svelano oltre la carne dei personaggi, per scoprire se siano veri campioni nelle ossa.

Him è, sullo sport, l’equivalente di un altro horror deludente del 2025, Opus – Venera la tua stella di Mark Anthony Green: in entrambe le opere si crede che basti un santone con una sontuosa villa isolata — nel football da una parte, nella musica dall’altra — per abbindolare gli spettatori. Ma, a differenza del film con Ayo Edebiri e John Malkovich, Him è talmente consapevole del proprio essere «dopato» che finisce quasi per conquistare simpatia, pur restando un disastro. Perché, in fondo, è vero: almeno offre un’emozione, anche negativa. Avvertenza: dopo la visione, potrebbe lasciare un bel mal di testa.