Nulla è più patologico della guerra. A Gaza, in Ucraina, come in tanti altri luoghi del pianeta devastati dai combattimenti, si affaccia il quarto dei cavalieri di un’apocalisse voluta dai signori delle armi: la pestilenza. Talmente è straziante il disastro, che per definirlo potrebbe non bastare più il termine sindemia, cioè l’interazione tra due o più malattie, che si accompagna a devastazioni ambientali, sociali ed economiche.

Francesco Maria Galassi è medico e paleopatologo, studia la storia e l’evoluzione delle malattie in resti scheletrici, mummie e fonti storiche. Professore associato di antropologia fisica presso l’Università di Łódź (Polonia) e Adjunct Associate Professor presso la School of Biomedicine dell’Università di Adelaide (Australia), Galassi è stato inserito dalla rivista americana Forbes nel 2017 nella lista dei 30 scienziati under 30 più influenti in Europa. Autore di circa 300 pubblicazioni scientifiche e vari libri, a 36 anni è inoltre un divulgatore scientifico.

Professor Galassi, in Ucraina ed a Gaza sono soprattutto i bambini a morire di fame e a contrarre malattie. Quali patologie si stanno diffondendo e quali epidemie potrebbero verificarsi?

In Ucraina la discontinuità delle vaccinazioni e le difficoltà di accesso ai servizi sanitari hanno ridotto le coperture contro morbillo, poliomielite e difterite, mentre i rifugi sovraffollati favoriscono epidemie di infezioni respiratorie e gastroenteriti. Secondo l’Oms, a gennaio 2025 si contavano oltre 2mila attacchi contro strutture e personale sanitario, con centinaia di vittime e feriti tra gli operatori medici. La copertura vaccinale è in parte stabile, ma rimane insufficiente: solo tra l’82% e l’86% dei bambini ha ricevuto i principali vaccini (polio, difterite, pertosse, morbillo, tetano), ancora distante dall’obiettivo del 95% necessario per l’immunità di gregge. Nel 2024 la copertura vaccinale contro il morbillo in Ucraina è rimasta insufficiente: il 91,4% dei bambini vaccinati a un anno e l’83,4% a sei anni. Questa vulnerabilità ha favorito, nel 2025, già nove focolai. L’ultima grande epidemia in Ucraina, nel 2017-2019, causò 100mila casi e 41 morti. Questi dati evidenziano un rischio elevato di nuove epidemie in un contesto già gravemente compromesso da attacchi e limitazioni nell’accesso ai servizi sanitari. Relativamente al conflitto mediorientale – ma senza dimenticare altri teatri di guerra meno interessanti mediaticamente quali l’Africa -, le carestie rappresentano una crisi umanitaria urgente e le conseguenze per i bambini sono particolarmente drammatiche, con malnutrizione acuta e rischio di mortalità elevata. La complessità di questi scenari richiede risposte rapide e ad alto livello di coordinamento umanitario e politico, giacché solo un approccio globale può porre un argine efficace a tale quadro emergenziale. Nondimeno, lo spettro di una nuova guerra mondiale aleggia sulla nostra civiltà e gli appelli alla ragionevolezza appaiono cadere nel vuoto. Allo stato attuale, non si può escludere a priori una conflagrazione bellica generale.

Quali sono i precedenti più significativi di epidemie e pandemie avvenute nelle guerre che in passato sono esplose tra nord Africa, Asia Occidentale ed Europa orientale?

La storia mostra come le guerre abbiano più volte innescato epidemie e pandemie. Già la peste di Atene (430 a.C.), scoppiata durante la guerra del Peloponneso, devastò la città approfittando di sovraffollamento e scarsità igieniche. Nelle campagne orientali di Roma imperiale e tardo-imperiale emersero la Peste Antonina (II sec. d.C., secondo alcuni studi attribuibile al vaiolo – ma per la qual diagnosi manca l’evidenza molecolare – diffusa dai legionari di ritorno dall’Asia) e la peste di Cipriano (III sec. d.C.), che dilagò nel Mediterraneo. Nel VI secolo, la cosiddetta peste giustinianea, causata dal batterio Yersinia pestis, partì dall’Egitto e si propagò in tutto l’Impero bizantino. Studi recenti hanno dimostrato che non si trattò di un singolo episodio: la malattia, alimentata da cambiamenti climatici e traffici commerciali, continuò a ricomparire per oltre due secoli, erodendo a più riprese la demografia e la forza economica bizantina. In epoca medievale, le crociate e le guerre tra Medio Oriente ed Europa contribuirono a diffondere lebbra, tifo petecchiale e soprattutto la peste nera del XIV secolo, originata dall’Asia e transitata attraverso rotte militari e commerciali. In età moderna, le guerre ottomano-europee e quelle napoleoniche furono spesso accompagnate da epidemie di colera, tifo e dissenteria, che causarono più vittime delle battaglie stesse.

Un suo recente lavoro pubblicato su rivista scientifica (Journal of Preventive Medicine and Hygiene) ipotizza che la febbre dengue potesse già esistere nell’antico Egitto. La scorsa estate, in diverse regioni italiane, è comparso lo spettro della West Nile. Quali lezioni sono state apprese dalla ultima pandemia di Covid e come potremmo prepararci alle prossime e a numerose malattie come quelle estive portate dalle zanzare?

Durante l’estate appena passata, in Italia l’attenzione si è spostata sulla West Nile, un arbovirus trasmesso da zanzare, con casi autoctoni sempre più numerosi e gravi. Questi scenari mostrano che le malattie infettive non appartengono solo al passato, ma sono un rischio costante. Dalla pandemia di Covid-19 abbiamo imparato almeno tre lezioni cruciali: l’importanza della sorveglianza epidemiologica globale, la necessità di coordinamento tra istituzioni scientifiche e politiche e il valore di una comunicazione chiara per contrastare disinformazione e paure. A complicare il quadro si aggiunge il cambiamento climatico, che favorisce la proliferazione e l’espansione geografica delle zanzare vettori come Culex pipiens e Aedes albopictus. Per affrontare future emergenze – dalle pandemie influenzali ai virus trasmessi da vettori come dengue, chikungunya e West Nile – servono investimenti in ricerca, reti di monitoraggio entomologico e sistemi sanitari resilienti. Solo così possiamo trasformare la memoria della pandemia in uno strumento di prevenzione efficace.

Larghi settori della società hanno abbracciato tesi cospirazioniste. Medici e infermieri subiscono aggressioni giornaliere. Come possono riaffermarsi razionalità e conoscenza storico-medica nell’epoca trumpiana?

Andrò in controtendenza, ma reputo un errore storico e culturale l’affibbiare etichette politiche all’antivaccinismo e più in generale all’odio per la scienza. Sebbene in un determinato momento storico possa sembrare trovare, temporaneamente, più confortevole albergo presso una parte politica piuttosto che presso un’altra, le sue diramazioni nella società sono in realtà molto più estese e tentacolari. Un tempo mera frazione ideologica, questo raggruppamento è diventato più forte negli ultimi anni: esercita pressioni mediatiche fortissime su ampi settori della società e delle istituzioni e ha sviluppato una retorica – per quanto fallace nei contenuti – suadente in chi ormai rifiuta l’evidenza scientifica e si fa dominare dalla rabbia. Se questa ira – probabilmente cagionata, non lo nego, da errori di comunicazione a più livelli in epoca pandemica – non verrà contenuta e se le persone che brancolano nel buio scientifico non saranno allontanate dagli elementi più radicalizzati e ricondotte alla ragionevolezza, non è possibile escludere una deriva violenta di siffatto movimento. Se la situazione persisterà in questi termini, l’antivaccinismo potrà senz’altro ambire a diventare una forza politica autonoma, senza più necessitare di organismi partitici che lo ospitino, animato dall’unico desiderio di sacrificare la prevenzione della salute umana sull’altare del proprio culto della menzogna e della superstizione. Urge da un lato issare in alto il vessillo scientifico, dall’altro ricostruire un rapporto fiduciario con le persone che, purtroppo errando, spesso diffidano della scienza.

Si registrano anche nelle periferie dell’Occidente casi di malattie diarroiche, infezioni respiratorie, scabbia e pidocchi, varicella, morbillo, meningite, epatite virale acuta, diarrea sanguinolenta. È una conseguenza del calo delle vaccinazioni o in generale il problema è causato anche dai tagli alla spesa sanitaria?

Il calo delle vaccinazioni ha favorito il ritorno di patologie prevenibili, in particolare morbillo e varicella, che necessitano di alte coperture per garantire l’immunità di gregge. La contrazione della spesa sanitaria e la riduzione dei servizi di base in alcune aree, poi, hanno aggravato le condizioni igieniche e limitato l’accesso a cure tempestive. A ciò si aggiungano fattori sociali e storici: migrazioni massive, sovraffollamento, precarietà abitativa e difficoltà socioeconomiche che creano ambienti favorevoli alla diffusione di infezioni cutanee e gastrointestinali. Non va dimenticato il ritorno della tubercolosi, resa oggi ancora più minacciosa dalla crescente antibiotico-resistenza. Ceppi multiresistenti compromettono l’efficacia delle terapie tradizionali, trasformando una malattia curabile in una sfida clinica e di salute pubblica globale. Il grande medico tedesco Rudolf Virchow (1821-1902) considerava la medicina una scienza sociale (eine sociale Wissenschaft) e una scienza per l’umanità (die Wissenschaft vom Menschen). La lezione è dunque chiara: solo politiche di prevenzione integrate, con investimenti adeguati alla sfida e una contestuale rivoluzione culturale, possono contenere questi fenomeni patologici.