di
Paolo Giordano
Le proteste sono iniziate come lunghi cortei, ogni notte davanti al Parlamento, e non si sono più fermate. Ma le cose nel frattempo sono solo peggiorate e la repressione è diventata più violenta e sfacciata
TBILISI – Eppure il venerdì sera la città è scintillante. I ristoranti del centro restano aperti fino a tardi e Tbilisi è il paradiso gastronomico di sempre. Eppure, il sabato mattina, file di automobili scorrazzano per Liberty Square suonando i clacson, gli invitati al matrimonio si sporgono dai finestrini, si sbracciano. Eppure Tbilisi è bellissima, mentre soffoca.
Una ricapitolazione. Dal 2012 la Georgia è governata dal partito Sogno georgiano, emanazione dell’oligarca Bidzina Ivanishvili. Sogno georgiano si era presentato alle prime elezioni come partito europeista e antirusso, due caratteristiche obbligatorie per la Georgia, che aspira all’Europa unita ed è profondamente ostile alla Russia, anzi è formalmente in guerra con la Federazione dal 2008.
Ma con il passare degli anni al governo, Sogno georgiano ha cambiato natura. Si è avvicinato sempre di più alla sfera d’influenza russa, fino a uscire, per così dire, allo scoperto: nell’aprile del 2024 ha approvato una legge che obbliga le organizzazioni non governative e i media che ricevono fondi dall’estero a registrarsi come «agenti stranieri». Spie insomma. La legge viene chiamata «russa» perché Putin ne aveva imposto una simile nel 2012. Sembra che, prima di approvarla, il governo georgiano si sia assicurato che le forze di polizia fossero addestrate per reprimere delle sommosse importanti.
Le proteste sono iniziate come lunghi cortei, ogni notte, su Rustaveli, la via principale di Tbilisi dove si trova il Parlamento, e non si sono più fermate. Ero qui durante la prima ondata, che sembrava un vento di liberazione. Ma le cose, in Georgia, sono solo peggiorate. A fine novembre il governo ha annunciato la sospensione delle pratiche per la candidatura del Paese a membro dell’Unione europea. La gente è tornata in strada in numeri ancora più grandiosi ma anche la repressione è stata più violenta e sfacciata. Sono passate più di trecento notti.
La polizia ha lasciato che gruppi di mercenari incappucciati pestassero i manifestanti, ragazze e ragazzi disarmati, anche personalità pubbliche come l’attore Andro Chichinadze. Decine di arresti, processi sommari fondati su accuse risibili (lancio di bottiglie di plastica), talvolta con prove fabbricate (droga nelle tasche), gli arresti spesso compiuti in differita, analizzando i video delle telecamere di sorveglianza con gli algoritmi di riconoscimento facciale. La Georgia è precipitata in uno Stato di polizia. I detenuti politici ancora in carcere sono più di sessanta, la maggior parte giovanissimi.
Incontro un gruppo di studenti universitari, dalla letteratura finiamo presto a parlare della Georgia e delle proteste, è inevitabile. Chiedo se definirebbero ancora il loro Paese una democrazia o se la chiamerebbero diversamente, suggerisco «autocrazia». Viene fuori qualcosa che sta in mezzo. Qualcosa che sta scivolando rapidamente, inesorabilmente, verso la revoca della libertà.
La ragazza che dialoga con me e gli studenti, Mariam N., è un’attivista. Sarebbe prima di tutto una traduttrice e una critica letteraria, ma questo accadeva nella sua vita di prima, trecento giorni fa. Le proteste le hanno tolto tutto: guadagna pochissimo, non potrebbe nemmeno mantenersi senza l’aiuto del marito estone. Ed è stanca. Fisicamente stanca dopo trecento mezze notti in piedi davanti al Parlamento, il ritmo sonnoveglia sballato. E psicologicamente stanca perché non s’intravedono svolte, molte persone hanno lasciato il Paese e ognuna aumenta il senso di sconfitta e solitudine. Mariam va avanti però. Fino a quando? Fino alla fine, qualunque sia.
L’atmosfera a Tbilisi è molto diversa da quella del maggio 2024. C’era elettricità allora. Adesso, sarà che è autunno, domina un fatalismo cupo, che non è ancora rassegnazione ma poco ci manca. I manifestanti parlano meno e meno volentieri, su molti incombe la depressione. Ma osservo qualcosa che non sapevo: che si può proseguire la resistenza anche senza speranza. Senza intravedere la vittoria e neppure un cambiamento. Come atto inevitabile.
Mentre mi mescolo alle proteste della sera, che oggi sono diradate, compilo il Decalogo dell’Autocrate Perfetto.
1) Inventa un nemico esterno. Sogno georgiano l’ha identificato nel Partito globale della Guerra, una fantomatica lobby internazionale che vorrebbe scatenare la terza guerra mondiale e aprire in Georgia il «secondo fronte» dopo l’Ucraina. Per mesi, dopo il 2022, è stata portata avanti una campagna social in cui fotografie degli edifici carbonizzati di Bucha venivano accostati ai palazzi integri di Tbilisi, come a dire: è davvero questo che volete?
2) Inventa un nemico interno. Sogno georgiano ne ha diversi, dalla comunità Lgbtq+ al ben più pericoloso «Deep State». Cosa sia esattamente il Deep State, di nuovo, non è chiaro a nessuno ma non ha importanza. In Georgia «agente del Deep State» è come dire «nemico del Popolo» in epoca sovietica. I nemici del Popolo venivano processati dalla troika nelle cantine di questi stessi palazzi, poi fucilati o deportati. Ora gli agenti del Deep State vengono multati, minacciati, ridotti al silenzio e di tanto in tanto rinchiusi in cella.
3) Non parlare con i giornalisti, non rispondere alle loro domande. Mettili fuori legge invece, taglia i finanziamenti, ostacolali in ogni modo. Per esempio, impedisci alle telecamere di filmare e registrare i processi degli attivisti incarcerati, obbligali a trascriverli a mano, come nell’Ottocento. Umiliali.
4) Assicurati una quota sufficiente di giudici fedeli.
5) Attribuisci la responsabilità di ogni misfatto ai tuoi oppositori e predecessori, e se puoi mettili in carcere. Mikheil Saakashvili, che negli ultimi anni del suo governo si era a sua volta lasciato prendere la mano dall’autoritarismo, è in prigione da marzo, dal suo ritorno nel Paese.
6) Sovrascrivi il passato. Se l’occupazione sovietica non è riabilitabile in alcun modo perché tutti detestano i russi, può essere riabilitata almeno la figura di Stalin, che dopotutto era georgiano.
7) Incuti paura, sempre più paura.
8) Dài libero sfogo alla paranoia. Lasciale prendere forma nella realtà. Pare che l’oligarca Ivanishvili non incontri quasi più nessuno di persona, vive trincerato e protetto, rimuginando su certi soldi che «l’Occidente» e il Deep State gli avrebbero bloccato in un conto in Svizzera.
9) Mostrati imprevedibile, capriccioso, lunatico. Un giorno l’Europa è il regno della corruzione, il successivo è il destino inevitabile della Georgia.
10) Prima gli intellettuali. Neutralizzati loro, vedrai, sarà tutta discesa.
Domani ci saranno le elezioni amministrative a Tbilisi. Elezioni cruciali con un esito scontato, un’altra vittoria dell’ex calciatore ed esponente di Sogno georgiano, Kakha Kaladze. La linea prevalente adottata dai manifestanti di Rustaveli è l’astensione. A elezioni truccate non bisogna partecipare. Ma alcune parti dell’opposizione lo faranno comunque, e così il fronte della resistenza, ancora una volta, si spacca e s’indebolisce. Per metà delegittima e per metà legittima. Sogno georgiano annuncerà un successo schiacciante. Poi ci saranno altri cortei e altre repressioni. E così via. La critica principale al movimento di protesta, mossa dall’interno, è di non aver saputo finora esprimere nessun leader, figure di riferimento sì ma non leader politici. In molti, tuttavia, difendono questa riluttanza a diventare partito, questa purezza protratta. Perché su Rustaveli, dicono, si sta facendo qualcosa di più importante: si stanno costruendo le basi valoriali di una nuova Georgia, che prima o poi arriverà. Eka K., che lavorava in televisione, che tutti nel Paese conoscono e che per le sue posizioni ha dovuto ricominciare da zero, me la descrive così: «Una società matura, una terza Repubblica con un’identità georgiana ed europea più solide. Chissà quando sarà. Ma prima o poi — prima o poi — sarà».
3 ottobre 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA