A Carmen Consoli non piace vincere facile, per citare un vecchio tormentone. A quattro anni dal suo ultimo album, la 51enne rockeuse catanese torna sulle scene. E lo fa con un disco tutto scritto e cantato nel dialetto della sua terra, la Sicilia. Si intitola Amuri luci, esce oggi sulle piattaforme e prossimamente anche in formato fisico. Contiene undici canzoni – tra gli ospiti anche Mahmood, Jovanotti e il tenore Leonardo Sgroi – in cui il dialetto «diventa strumento di memoria, di verità e di resistenza». Nel segno della grande Rosa Balistreri, la cantastorie – scomparsa nel 1990 – che cantò la Sicilia e le ingiustizie sociali: «Il titolo, che unisce due sostantivi, racchiude il senso del disco: l’amore come luce, come forza capace di illuminare, consolare e denunciare le ingiustizie – spiega la cantautrice, che il 18 ottobre da Assisi darà il via al tour teatrale che chiuderà a Roma, al Parco della Musica, il 28 e 29 dicembre – l’omonimo brano è dedicato a Peppino Impastato. Ogni canzone è un frammento di diario collettivo, una tessera che compone un mosaico di memoria e coscienza civile».
La reazione dei discografici quando gli ha fatto ascoltare le canzoni?
«Impazziti. In senso positivo. Hanno compreso il progetto e lo hanno supportato. E poi non dimentichiamoci che da venticinque anni sono discografica di me stessa (nel 2000 ha fondato la Narciso Records, ndr). Warner si limita solo a distribuire il disco, che è prodotto da me».
Perché un disco in siciliano?
«Perché si inserisce in un lavoro più complesso e articolato: una trilogia che si completerà nei prossimi mesi. Ho fatto una scelta di libertà, nonostante la crisi profonda del settore discografico. Ho voluto declinare i temi a me più cari, le mie tre anime, in tre lavori diversi, piuttosto che concentrarli in un solo album. Parto dalla Sicilia, la mia terra, per poi mostrare con il secondo disco la mia anima più rock in inglese e in francese e con il terzo quella più cantautorale, stavolta in italiano».
Nei testi cita poeti e poetesse medievali come Nina da Messina, ma anche miti antichi: che tipo di ricerche ha fatto?
«Ho riattraversato i secoli, partendo dalla Grecia di Teocrito fino ad arrivare al grande Ignazio Buttitta, scomparso nel 1997. Di lui Pasolini diceva che meritasse il Nobel per la letteratura».
Ha ripreso la sua “Parru cu tia”, in duetto con Jovanotti, che ha aggiunto versi inediti alla poesia: l’idea di chi è stata?
«Mia. Avevo bisogno di un collega che si esprimesse sul tema dell’indifferenza. Ho detto: “Chiamo il numero uno”. Lorenzo è un fuoriclasse, ha accettato subito».
E Mahmood cos’ha portato ne “La terra di Hamdis”, ispirata al poeta siculo-arabo dell’XI secolo costretto a lasciare l’isola dopo la conquista normanna e a peregrinare per il Mediterraneo?
«Volevo rappresentasse l’attualità della vicenda di Hamdis. La storia si ripete, tragicamente, spesso al contrario. C’è anche un po’ di Franco Battiato in questo lavoro, inevitabilmente: sottolineava sempre l’importanza avuta dagli arabi sulla cultura della nostra terra, in tutti i campi».
Sui social è tra i pochi a non esporsi su vicende di attualità, come Gaza. È perché non sono quelli i luoghi deputati a esporsi?
«Per me i social non esistono. Quella è una bolla: con i social non si fa la rivoluzione. In piazza ci si va a piedi. Ho guardato le manifestazioni in tv tutta la notte, l’altro giorno, e mi sono emozionata per questa presa di coscienza: è una bellissima notizia che non ci sia più indifferenza. Come dice la mia grandissima amica Elisa: sbrigatevi perché è vero che la gente muore. Vorrei partire con la mia barchetta da Aci Trezza per portare quattro uova a Gaza. Se qualcuno lo può fare più velocemente, lo faccia».
Renato Zero si è detto contrario al ponte sullo Stretto: “Vogliono soffocare la storia l’imperturbabilità di un paesaggio stupendo”. Lei come la pensa?
«Sono d’accordo con lui. Ne ribadisco l’inutilità. In Sicilia mancano le infrastrutture elementari. Sarebbe una cattedrale nel deserto».
A febbraio saranno trent’anni dall’esordio al Festival di Sanremo con “Amore di plastica”. Le piacerebbe festeggiare su quel palco?
«Sì. Sarebbe un sogno tornare ad esibirmi con quella magnifica orchestra».
Anche in gara?
«In qualsiasi veste. Anche se non nascondo che la gara mi mette ansia: richiama l’idea della competizione».
Ci andrà o no?
«Al momento non ho la canzone giusta. Ho appena pubblicato un disco in siciliano».
Geolier a Sanremo ha cantato in napoletano. Se Carlo Conti la invitasse anche con un brano in siciliano?
«Credo sia tardi. Bisognerebbe presentarsi con un progetto pronto. I prossimi due dischi li sto ancora scrivendo. Per me, comunque, Sanremo è un rito. Ogni anno quella settimana organizzo gruppi di ascolto, con la pizza fatta in casa da me. Quest’anno mi sono piaciuti Lucio Corsi, Brunori Sas, Simone Cristicchi, che sono arrivati tutti in alto. Finalmente il cantautorato si è ripreso il suo posto. Hanno vinto le canzoni con contenuti. E quando c’è contenuto, allora significa che c’è una rivoluzione in atto».
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