Il turismo enogastronomico continua a crescere e a generare valore per i territori, ma manca ancora qualcosa di fondamentale: le professionalità in grado di sostenerne lo sviluppo. Product manager, hospitality manager, curatori di esperienze, consulenti per la progettazione turistica: figure chiave spesso assenti o non adeguatamente formate. È da questa urgenza concreta che nasce il Libro bianco sulle professioni del turismo enogastronomico, un documento strategico che definisce ruoli, mansioni e competenze, promosso dall’Associazione italiana turismo enogastronomico insieme a UnionCamere e alle principali realtà di settore.

Turismo enogastronomico alla deriva: ecco il libro che prova a salvarlo con le professioni giuste

La copertina del nuovo libro sul turismo enogastronomico coordinato da Roberta Garibaldi

Alla redazione del testo hanno contribuito anche l’Associazione nazionale città dell’olio, l’Associazione nazionale Città del vino, Cna Turismo e commercio, Coldiretti, Confartigianato Turismo, la Consulta nazionale Distretti del cibo, la Federazione nazionale delle strade del vino, dell’olio e dei sapori e l’Unione italiana vini. Ha partecipato ai lavori anche il Center for higher education and youth employability dell’Università degli Studi di Bergamo.

L’obiettivo del nuovo libro sul turismo enogastronomico

L’obiettivo è offrire una visione sistemica e integrata delle professioni che ruotano attorno al turismo enogastronomico, tracciando i confini di un settore che vale oltre 40 miliardi di euro e che, con una definizione più precisa delle competenze, potrebbe generare ulteriore occupazione e sviluppo localeA preoccupare è il fatto che la maggior parte delle imprese del comparto apra al pubblico solo parzialmente, spesso durante la settimana, e che manchino figure capaci di valorizzare davvero l’esperienza del visitatore. Formazione mirata, percorsi professionali chiari e riconoscimenti ufficiali sono quindi ritenuti strumenti essenziali per sbloccare il potenziale di un’offerta turistica autentica e ben strutturata, sia in termini economici che di qualità percepita.

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I profili chiave per il futuro del turismo enogastronomico

L’indagine esplorativa coordinata da Roberta Garibaldi, presidente dell’Aite, ha fatto emergere dei profili chiave per il futuro del comparto, nati dall’analisi delle imprese coinvolte e da un think-tank che ha coinvolto gli attori che negli ultimi anni hanno contribuito a strutturare il sistema enogastronomico nazionale, anche attraverso eventi e progetti di accoglienza. Il primo è il product manager per il turismo enogastronomico, figura da inserire non nelle aziende ma nelle Dmo o nei consorzi territoriali. Il suo compito è creare sinergie tra operatori locali, costruire un’offerta integrata e mettere in rete le imprese del gusto, con l’obiettivo di offrire un’esperienza completa e ben strutturata lungo tutta la customer journey.

Turismo enogastronomico alla deriva: ecco il libro che prova a salvarlo con le professioni giuste

L’indagine esplorativa coordinata da Roberta Garibaldi ha fatto emergere dei profili chiave per il futuro del comparto

Altro snodo importante è quello dell’hospitality manager, figura che nelle piccole imprese è spesso ricoperta direttamente dai titolari, ma che nelle realtà più grandi comincia a emergere con maggiore forza. Se oggi il 43% delle aziende con oltre 5mila visitatori all’anno dispone già di una business unit dedicata con budget autonomo, la prospettiva è che questa figura diventi sempre più centrale, anche perché si occupa direttamente di attività strategiche per la redditività aziendale: dall’organizzazione dei servizi turistici alla promozione, dalla vendita diretta al coordinamento del personale. «L’investimento in questa figura professionale – dichiara Garibaldi – potrà determinare un numero particolarmente alto di assunzioni nei prossimi anni: le intenzioni delle aziende oscillano infatti tra il 33% ed il 71% in base alla loro dimensione. È comunque necessario definire le precise competenze, anche per rafforzare i percorsi formativi collegati». Nelle aziende più strutturate, accanto all’hospitality manager, c’è spesso anche un addetto dedicato alle visite.

Una figura più innovativa ma sempre più richiesta è quella del consulente di turismo enogastronomico, esperto indipendente o collaboratore di Dmo e consorzi, che affianca le imprese nella strutturazione dell’offerta, nella gestione del Crm, nel revenue management e nella vendita multicanale. È un ruolo pensato soprattutto per supportare gli imprenditori agricoli che, pur forti nella parte produttiva, faticano a gestire gli aspetti turistici. Modelli già avviati in questa direzione si trovano in Trentino Marketing e nell’Atl delle Langhe.

Turismo enogastronomico alla deriva: ecco il libro che prova a salvarlo con le professioni giuste

Roberta Garibaldi, presidente dell’Aite

C’è poi il curatore di esperienze enogastronomiche, libero professionista che supporta le aziende nei momenti stagionali più intensi, come la vendemmia o la raccolta delle olive. Organizza tour, conduce food-tour urbani o itinerari integrati tra realtà produttive, accompagnando i turisti e valorizzando l’identità enogastronomica del territorio. È un’opportunità interessante per laureati in Scienze Gastronomiche, sommelier, esperti di formaggi o ristoratori che vogliano estendere le proprie competenze al turismo. «In questo modo – evidenzia Garibaldi – il curatore di turismo esperienziale si pone come un ponte tra il turismo stesso e l’enogastronomia. Definire e valorizzare con un percorso professionale per questa figura permetterebbe di valorizzare il potenziale dei laureati in Scienze Gastronomiche, dei sommelier, degli esperti di formaggi o dei ristoratori che vogliono estendere il proprio contributo al settore. Permetterebbe di dare contorni netti a chi oggi svolge parzialmente questo lavoro per la non chiarezza normativa, che si distingue per l’approccio innovativo e focalizzato sul patrimonio enogastronomico».

Un libro per uscire da una condizione di improvvisazione

La realizzazione del volume rappresenta, di fatto, un primo passo per uscire da una condizione di improvvisazione che ha finora penalizzato uno dei comparti più vivaci del turismo italiano. L’assenza di riferimenti chiari, di percorsi strutturati e di una nomenclatura condivisa ha reso difficile non solo formare figure professionali adeguate, ma anche riconoscerle e valorizzarle sul piano operativo. Il documento colma proprio questo vuoto: introduce una grammatica comune, riconosce le competenze necessarie e le lega in modo diretto ai bisogni concreti delle imprese. Ma soprattutto restituisce dignità e prospettiva a un’intera area professionale, costruendo le basi per una crescita sostenibile che metta davvero al centro il legame tra turismo, filiere produttive e comunità locali. Non è una formula, è una necessità.