Il concorso, l’ultimo libro di Sara Mesa edito da La Nuova Frontiera con la traduzione di Elisa Tramontin (pp. 224, euro 17,50), permette a lettori e lettrici di riconoscere subito il solco all’interno del quale si inscrive la ricerca letteraria della scrittrice spagnola, dopo La famiglia (2024) e Un amore (2021), entrambi pubblicati con La Nuova Frontiera.
MESA SCRIVE della struttura della società umana e già solo questo dato contribuisce a connotarla come una delle voci più interessanti della narrativa contemporanea europea. Ci sono stati filosofi e filosofe nel secolo scorso che conducendo il pensiero umano a vette elevatissime hanno individuato proprio nella struttura il prisma attraverso cui comprendere, anche per rivoluzionarlo, il sistema. Con il romanzo Il concorso, l’autrice dimostra che fortunatamente il pensiero speculativo e la letteratura ancora dialogano, che la narrativa non è solo ripiegamento su sé stessi o divertissement, senza nulla togliere all’uno o all’altro.
LA PROTAGONISTA di questa storia, Sara, è una giovane donna di età imprecisata, fresca di laurea, che ha ottenuto un contratto a tempo determinato presso un dipartimento della Pubblica Amministrazione. A causa del suo difetto di pronuncia solo Sabina del reparto informatico, con cui stringerà una breve quanto intensa amicizia, riuscirà a chiamarla col suo nome, per tutti gli altri lei è «Sava».
La storia racconta prima di tutto un’attesa: dalla sua postazione nel corridoio, la ragazza aspetta che la sua supervisora, Teresa, abbia tempo di incontrarla. Insieme, dopo qualche mese, attenderanno che il capo di entrambe possa dedicare loro del tempo per illustrare le procedure da mettere in atto per avviare un procedimento che dovrebbe poi costituire il lavoro di Sara. L’attesa, la farraginosità del sistema, i modi in cui giustifica i tempi morti con il sovrapporsi di passaggi inutili e macchinosi sono al cuore di questo romanzo e Mesa fa largo uso del linguaggio della burocrazia per mettere nero su bianco il malfunzionamento della macchina statale: «C’erano tante cose che non sapevo. Con il tempo, cominciai a sospettare che non le sapevo io e non le sapeva nessuno. Chiedere diventò un atto di maleducazione. La mera formulazione del desiderio di sapere poteva essere interpretata come una polemica o una critica».
Il romanzo è anche la descrizione di un panorama umano che Sara può descrivere con dovizia di particolari, considerato che per la maggior parte delle ore passate in ufficio non ha nulla da fare, se non osservare gli spazi e le persone che la circondano. Una di loro, Beni, con cui condivide l’amore per la poesia, la convince a studiare per il concorso da funzionaria, il passaggio necessario perché quella vita di assurdità diluite in un tempo di lavoro per lo più vuoto si protragga fino alla pensione. Sara accetterà il consiglio di questa donna dalla bontà ridicola e straziante, ma non riuscirà a mettere a tacere il suo istinto sabotatore.
LA SUA ATTITUDINE genera una domanda che Mesa consegna a lettori e lettrici: qual è il vero coraggio? Aderire al sistema, piegarsi alle sue storture, avere il coraggio, quindi, di sacrificare la propria vita, intesa come desiderio e vitalità, sull’altare della stabilità o rinunciarvi in nome di una precaria quanto irragionevole ricerca del senso, ogni giorno? L’ultimo romanzo della scrittrice di Madrid incarna questo dilemma nelle vicende della sua protagonista, permettendo a chi legge di immedesimarsi nella storia, grazie alla sua scrittura fatta di immagini chiare ed efficaci e, come sempre nei suoi libri, il dubbio su cosa sia giusto resta intatto fino alla fine e oltre.