Come valutare queste promesse? Si tratta di un impegno che a un’analisi approfondita risulta tutto sommato vago. Vago, ma significativo: in precedenza il regime si era limitato a promettere di raggiungere il picco di emissioni entro il 2030, legando, peraltro, i tagli alla crescita economica.
Un approccio da paese in via di sviluppo (quale è ancora nelle tabelle dell’Unfccc), che pare sia in corso di revisione per assumere un ruolo più simile a quello dei paesi industrializzati (le cui emissioni sono in declino da decenni). Per questo non si può non apprezzarlo. In aggiunta, c’è un altro indicatore che potrebbe confermare quanto sopra: la Cina ha anche annunciato l’intenzione di rinunciare al trattamento speciale all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), di cui fa parte dal 2001. La dichiarazione è arrivata un po’ in sordina, nel bel mezzo di un discorso tenuto dal premier Li Qiang. Insomma, l’idea per il futuro pare essere quella di presentarsi come potenza responsabile sfruttando l’isolazionismo e le guerre commerciali di Washington: non è detto, però, che vi sia un riverbero anche sulle politiche climatiche, dove il trattamento di favore è garantito dal cosiddetto Allegato 1, che allenta i vincoli sulla mitigazione per i paesi in via di sviluppo, secondo tabelle adottate negli anni Novanta. E potrà tornare utile quando il gioco si farà duro.
Andamento lento?
Va sottolineato come ridurre le emissioni al ritmo promesso da Pechino significhi un calo dell’1% l’anno circa e, secondo un’analisi di William Lamb del Potsdam Institute for climate impact research, si tratta di un passo inferiore a quello tenuto da gran parte delle nazioni industrializzate. L’Italia, per esempio, le ha ridotte in media del 3,2% ogni dodici mesi a partire dal 2006 (anno del picco); il Regno Unito in media del 2,8% (anno base il 2004); la Francia del 2,3%. Ma “la Cina ha spesso promesso poco e ottenuto molto”, fa notare Andreas Sieber, direttore associato per le policy e le campagne per la ong 350.org. Sieber intende suggerire che potremmo essere sorpresi. Noi aggiungiamo che la mancanza di democrazia (che non espone il paese ai rischi e all’andamento ciclico delle consultazioni elettorali) unito alla programmazione cinquantennale (inimmaginabile in Occidente) semplificano il raggiungimento degli obiettivi.
Sulle rinnovabili
Nel discorso di Xi Jinping che anticipa l’Ndc della Cina c’è l’impegno a raggiungere i 3.600 gigawatt (GW) di capacità eolica e solare installata al 2035. Un obiettivo che moltiplicherebbe per 6 i dati del 2020. Parliamo già oggi del primo paese per potenza rinnovabile installata: un gigante anche sul fronte tecnologico, con università che macinano ricerca ambientale e climate tech a pieno ritmo, e attirano scienziati dall’estero in settori che non siamo abituati ad associare al paese. È stato, inoltre, annunciato l’impegno a superare il 30% di energie non fossili nel mix energetico.
Sui veicoli elettrici
La mobilità ha costituito a lungo un problema per la Cina, che è passata dalle biciclette, onnipresenti fino agli anni Novanta, all’automobile di massa. Indimenticabili le immagini della Pechino del 2008, quella delle Olimpiadi: una coltre di smog seppelliva la città. Il governo ha capito, e negli ultimi anni ha dato un forte impulso alla mobilità elettrica: al Climate Summit ha annunciato l’intenzione di rendere gli EV “mainstream”, cioè prevalenti nelle vendite. Aiuta il fatto di disporre di terre rare indispensabili per la costruzione delle batterie. E del resto giganti come Build Your Dreams (BYD) e Catl — che fornisce le batterie a una cinquantina di marchi mondiali, da Tesla a Volkswagen — dimostrano che fa sul serio.
Sul mercato del carbonio
Xi ha dichiarato l’intenzione di espandere il mercato del carbonio nazionale (National carbon emission trading market) a un numero maggiore di settori ad alta intensità di emissioni rispetto a oggi.
Sulle foreste
Impegni ulteriori sono stati presi per le foreste, che (nelle intenzioni) raggiungeranno un’estensione pari a 34 miliardi di metri cubi. Va notato che lo stock di foreste ha già superato l’obiettivo fissato per il 2030: si voleva arrivare a 12,5 miliardi di m³ partendo dalla metà; si sono raggiunti, invece, i 20 miliardi di m³.
La Cina ha rimodellato il mercato delle tecnologie green
Agli scettici che si aspettavano misure più ampie e l’intestazione di una vera leadership globale è facile rispondere che si tratta di un titolo non particolarmente ambito di questi tempi. E, se l’America inverte la rotta e mette addirittura in discussione la scienza climatica, Bernice Lee, senior advisor del think tank Chatham House, sottolinea che “ci sono gli obiettivi delle Nazioni Unite e poi c’è la realtà. E la realtà è che Pechino ha investito 625 miliardi di dollari nella transizione solo nell’ultimo anno, cioè il 31% del totale a livello globale”.
Non solo: la ricerca e l’adozione massiccia di tecnologie rinnovabili hanno portato al drastico calo dei prezzi, con punte fino al 90% in dieci anni: il mercato interno, amplissimo, è un volano formidabile in questo senso. “L’aumento delle rinnovabili cinesi sta rimodellando l’economia globale e rimpiazzando il carbone nel mercato interno”, conclude l’esperto. Mica poco. La speranza è che altri paesi, rassicurati dall’impegno, seguano l’esempio cinese, e non quello americano.