Il convegno, intitolato “La Sanità pubblica tricolore vista da dentro: 1978-2025”, ha riunito esponenti istituzionali, accademici e professionisti sanitari per richiedere una nuova riforma strutturale della Sanità pubblica.
di Tiziana Primozich e Laura Marà
Il futuro del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è stato il fulcro di un intenso confronto che si è svolto lunedì 29 settembre, alle ore 15:30, nella storica Sala Carroccio in Campidoglio. Il convegno, intitolato “La Sanità pubblica tricolore vista da dentro: 1978-2025”, ha riunito esponenti istituzionali, accademici e professionisti sanitari per richiedere una nuova riforma strutturale che recuperi i principi fondanti di universalità e solidarietà della Legge n. 833 del 1978.
La tesi centrale dell’evento, supportata dalla documentazione fornita, è che le riforme introdotte a partire dal 1992 (in particolare il D.Lgs. 502/92) abbiano compromesso la missione sociale dell’SSN, orientando il sistema verso una logica aziendalistica e finanziaria che non ne rispecchia la natura. Il confronto ha evidenziato come il sistema sanitario degli anni ’80 avesse un “indice di qualità-efficienza elevato e di gran lunga superiore” all’attuale, e che il ripristino di tale livello non sia un obiettivo “utopistico,” ma richieda solo la volontà politica.
La Visione Istituzionale e l’Impegno Regionale
Il convegno è stato introdotto da esponenti politici che hanno sottolineato l’importanza del dialogo con i professionisti del settore.
La Dott.ssa Roberta Angelilli, Vice Presidente e Assessore con delega alla Sanità e al Sociale della Regione Lazio, ha aperto i lavori, riconoscendo il valore inestimabile dell’esperienza e della competenza dei partecipanti. L’Assessore ha descritto la professione sanitaria come mossa da “tanta esperienza, direi anche tanta umanità, tanta passione, tanta motivazione e vocazione,” un elemento essenziale per il “bene comune.”
La Dott.ssa Angelilli ha formalizzato l’impegno istituzionale a non lasciare inascoltate le conclusioni del dibattito ed ha esortato i presenti a concludere il loro compito: “A termine di questo confronto, in tempi tecnici, quando sarete pronti, ritaglieremo un momento in cui consegnate il frutto del vostro lavoro e vediamo che cosa di queste proposte si può fare.” Un messaggio finale di incoraggiamento ha ribadito la necessità di perseverare: “Io penso che bisogna sempre crederci, […] l’unione fa sempre la forza, quindi mai abbassare la guardia, mai perdere la speranza, anzi la speranza è un grande motore del cambiamento.”
La Sanità e l’Approccio Metodologico
Dopo i saluti istituzionali, la discussione è entrata nel vivo con il contributo del Dott. Giuseppe Lavra, medico e dirigente in ambito sanitario, il cui intervento ha posto l’accento sulla necessità di un cambio di prospettiva, oltre l’aspetto puramente economico.
Il Dott. Lavra ha criticato la deriva del sistema, sostenendo che sia necessario superare l’idea che l’unico problema sia la mancanza di risorse: “Non è soltanto un discorso di risorse economiche, […] ma è più un discorso di metodologia, è più un discorso di approccio metodico.” Ha argomentato che il Servizio Sanitario Nazionale, “come era stato progettato, andava bene fino a vent’anni fa, ma adesso non può più essere il sostegno alla base su cui si regge la nostra nazione,” richiedendo un aggiornamento dei suoi principi strutturali.
Il relatore ha richiamato l’attenzione sulle conseguenze della regionalizzazione, definita come un fattore che ha “disfatto di un sistema sanitario nazionale,” rendendo evidenti le disuguaglianze e le criticità locali. Ha espresso l’auspicio che il dibattito potesse produrre “due, tre, quattro, cinque risposte su cui iniziare un percorso, non solo a livello regionale, ma anche in questo senso nazionale.” L’obiettivo finale è che i professionisti, coloro che “vivono anche anni di scudo” e hanno esperienza diretta, forniscano risposte che il governo possa tradurre in azioni concrete.
Nell’analisi congiunta il prof. Renato Andrich, già Direttore dell’Unità Operativa Dipartimentale Centro Patologia della Mammella dell’ospedale San Giovanni, ha evidenziato come la riforma del 1992 (Governo Amato) abbia rappresentato uno spartiacque, introducendo una logica aziendale e una forte regionalizzazione della spesa. Questa impostazione è stata criticata per aver trasformato la tutela della salute, prima finanziata dallo Stato e basata sull’universalità, in una “concessione di un privilegio” subordinata alle disponibilità finanziarie locali. È stato sottolineato che la logica aziendale mal si sposa con enti la cui missione non è produrre profitto, ma tutelare la vita, e che il trasferimento del potere gestionale a un “direttore generale monocratico” ha causato inefficienze e disuguaglianze regionali.
La dott.ssa Rosalba Spadafora, psichiatra con una lunga esperienza presso la ASL Roma 5, ha fatto il punto sui nuovi presidi sanitari, così detti Ospedale di comunità (OdC) «una struttura sanitaria di ricovero che afferisce alla rete di offerta dell’Assistenza Territoriale e svolge una funzione intermedia tra il domicilio e il ricovero ospedaliero, con la finalità di evitare ricoveri ospedalieri impropri o di favorire dimissioni protette in luoghi più idonei al prevalere di fabbisogni sociosanitari, di stabilizzazione clinica, di recupero funzionale e dell’autonomia e più prossimi al domicilio.»
Anche l’istituzione di tale Presidio non appare congrua per diversi motivi: – la stessa denominazione di OdC è foriera di confusione con l’Ospedale per acuti, – non è affatto chiara la necessità della supposta «funzione intermedia» di tali Presidi, – l’opportunità di evitare «ricoveri ospedalieri impropri» dovrebbe essere assolta efficacemente sia dall’ospedale che dall’organizzazione distrettuale di base proponente il ricovero stesso. Pertanto, un’ulteriore unità operativa, oltre a non essere utile, potrebbe creare confusione e perpetuare l’eufemistica «insufficiente funzione di filtro dei Servizi distrettuali».
Le dimissioni protette dagli Ospedali per acuti dovrebbero essere ampiamente soddisfatte dall’assistenza domiciliare e dalle strutture di post acuzie, di riabilitazione, di Hospice ed RSA. La stabilizzazione clinica possibile di un paziente, dimesso da un ospedale per acuti, non può che competere all’Ospedale stesso e non è certo delegabile. È certamente utile invece potenziare le strutture di post-acuzie già esistenti.
Il prof. Francesco Cammareri, già primario oncologo dell’ospedale di Frascati e presidente dell’A.Di.M.O, associazione nata con l’intento di affiancare il malato oncologico spesso vittima delle carenze del S.S.N, ha evidenziato la necessità di programmazione della rete delle cure Palliative che deve integrarsi e cooperare con le altre unità operative coinvolte nell’assistenza, realizzando con puntualità la rete stessa per la sua infungibilità.
Servizi per la salute dei minori, delle donne, delle coppie e delle famiglie nell’ambito dei quali sembra opportuno farsi anche carico dell’assistenza rivolta agli uomini che versano in particolari condizioni di grave fragilità sociale non necessariamente anziani.
La Telemedicina prevista come «una modalità di erogazione di Servizi e prestazioni assistenziali sanitarie sociosanitarie a rilevanza sanitaria a distanza, abilitata dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, e utilizzata da un professionista sanitario per fornire prestazioni sanitarie agli assistiti (telemedicina professionista sanitario – assistito) o servizi di consulenza e supporto ad altri professionisti sanitari (telemedicina professionista sanitario – professionista sanitario)». L’uso della tecnologia ai fini di assicurare ai pazienti anche assistenza a distanza dovrebbe entrare nel bagaglio strumentale di tutta l’assistenza distrettuale rivolta ai cittadini con cronicità invalidanti, per assicurare una congrua assistenza nella continuità clinica.
L’Impatto sul Personale e l’Appello Finale
Un tema nevralgico della discussione è stato il malessere organizzativo che ha investito il personale sanitario. È stata denunciata la politica di ridimensionamento del ruolo professionale, che ha comportato un depotenziamento dell’autonomia dei medici – qualificati in modo anomalo come “dirigenti” – e una mancata rivalutazione economica delle altre professioni sanitarie, contribuendo a un clima di insoddisfazione generale.
L’appello conclusivo è stato unanime e di natura politica: è necessario superare la “legislazione sbagliata” e ritrovare l’“unità politica nazionale del ’78” per porre fine alla situazione attuale, che tutte le forze politiche, “sia progressiste che conservatrici,” mostrano di rifiutare. L’obiettivo è intervenire con una nuova e necessaria riforma sanitaria per rimuovere le vere cause del malfunzionamento e assicurare che la tutela della salute torni a essere un diritto pieno e inalienabile per tutti i cittadini.