“La pandemia ci ha insegnato quanto la medicina territoriale sia indispensabile. Il medico di famiglia è il primo presidio di salute per i cittadini, ma la sua formazione è rimasta ferma a un modello obsoleto. Per questo serve una riforma vera: portare la medicina generale dentro l’università e renderla una specializzazione a tutti gli effetti”. Così la consigliera regionale del Partito Democratico, Anna Maria Bigon sul tema “Specializzazione universitaria della medicina di famiglia per la promozione delle cure primarie”.

Ha partecipato alla conferenza anche Guglielmo Frapporti, medico di famiglia in pensione, già segretario provinciale della Fimmg Veronese, anche lui candidato per il Pd alle elezioni regionali.

Un quadro critico in Veneto
Tra il 2019 e il 2024 il numero dei medici di medicina generale è calato sensibilmente: da 3.094 a 2.743, con una diminuzione di 351 unità pari all’11%. “Oggi – spiega Bigon – abbiamo quasi 2.000 incarichi vacanti solo in Veneto. Il rapporto medio è salito a 1.550 pazienti per medico, uno dei più alti d’Italia, quando l’Accordo collettivo nazionale indica 1.200 come standard ottimale e 1.500 come massimo. Con una delibera regionale si è arrivati addirittura a consentire i massimali di 1.800 pazienti: un carico insostenibile”.

Il trend riguarda anche i pediatri, scesi nello stesso periodo da 549 a 489. “Non solo mancano i medici – sottolinea Bigon – ma l’età media è sempre più alta: oltre il 60% dei medici di famiglia ha più di 21 anni di servizio, mentre i giovani sono pochissimi”.

Guglielmo Frapporti sottolinea il “declino delle cure primarie e dei servizi socio-sanitari in Veneto – un tempo regione-modello – sta avvenendo più velocemente rispetto ad altre parti d’Italia. Lo spartiacque è avvenuto nel 2012, con il piano sanitario regionale che determinò la chiusura di tutte le lungodegenze e di molti ospedali territoriali. Con il risultato – aggiunge Frapporti – di riversare sui medici di famiglia un carico insostenibile soprattutto di pazienti anziani, fragili e malati cronici: uno studio rilevò in media un +37%”. Senza contare che il 50% di loro lavora da solo, senza l’aiuto di una segretaria o di un infermiere. Se saltano le cure primarie, salta la medicina territoriale: abbiamo bisogno di un’inversione di tendenza”.

Una riforma attesa da anni
La proposta di legge prevede l’inserimento della formazione universitaria con la specializzazione in Medicina Generale, di Comunità e Cure Primarie, con durata quadriennale ed equiparazione alle altre discipline. “Questo significa – aggiunge Bigon – borse di studio adeguate, percorsi accademici e professionali reali, riconoscimento pieno del ruolo del medico di comunità. Non una figura residuale, ma uno specialista centrale per la sanità pubblica”.

Tra i contenuti principali del progetto di legge:

·         istituzione in ogni Ateneo di un dipartimento integrato Università–Servizio sanitario regionale;

·         utilizzo della rete formativa delle aziende sanitarie per i tirocini;

·         equiparazione delle borse di studio a quelle delle altre specializzazioni;

·         durata della specializzazione portata a quattro anni.

I benefici attesi
Gli effetti della riforma sarebbero immediati: “Allineeremmo il nostro sistema agli standard europei, offrendo formazione di qualità e riconoscibilità internazionale. Restituiremmo attrattività a una professione oggi percepita come un ripiego. Rafforzeremmo la medicina territoriale, con professionisti capaci di gestire cronicità e prevenzione, riducendo le ri-ospedalizzazioni e gli accessi impropri ai pronto soccorso”, spiega Bigon.

In Veneto oltre il 50% degli accessi in pronto soccorso avviene in codice bianco. “È la prova – sottolinea Bigon – che serve una medicina di prossimità più forte. Più medici di famiglia, meglio formati e supportati, significano meno affollamento negli ospedali e tempi di attesa più brevi per i casi davvero urgenti”.

L’appello al Parlamento
“Il Parlamento agisca con urgenza – conclude Bigon –. Ogni giorno senza una riforma strutturale aggrava la carenza di medici e la fatica dei professionisti rimasti. La medicina di famiglia è un pilastro del Servizio sanitario nazionale: difenderla e rafforzarla è un dovere politico, sociale e civile. Solo così daremo ai cittadini un sistema sanitario pubblico più vicino, giusto e sostenibile”.