Venerdì sera (non è chiaro se colpito da un infarto o sotto i colpi di un tumore) è morto Remo Girone, 76 anni, attore eccellente e creatore di personaggi leggendari. Uno per tutti Tano Cariddi, che in una Piovra tv di qualche anno fa, oltre a divenire celeberrimo, dava per primo esplicitamente un volto e un corpo alla sempre celata familiarità con i gangli di potere della organizzazione criminale mafiosa. Divenne un sorta di «controeroe nazionale», per quanto «in negativo», con la sua mancanza assoluta di scrupoli e una pari ricchezza di espressività attoriale.

In realtà era un attore di origine e spessore teatrale, gentile e «delicato» fuori del set, assolutamente amabile, umile, davvero simpatico, oltre che colto. Le sue origini professionali del resto risalivano al miglior teatro di prosa. Aveva frequentato l’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico, e fu proprio uno dei suoi maestri, Luca Ronconi, che lo volle al Laboratorio teatrale di Prato. Una fucina, e una scuola, di altissimo livello, per quanto rigorosa ed «esigente». Fu così che dopo in po’ decise di lasciare quell’ensemble, per accostarsi, con maggiore successo certo, a cinema e tv (un processo parallelo a quello di altri colleghi).

Nonostante i successi ottenuti grazie al piccolo schermo, Girone era rimasto attore di alta «moralità» in palcoscenico: tre anni fa aveva portato in scena, solo tra grandi pile di scatoloni, e con instancabile e partecipata dedizione, un testo di Simon Wiesenthal, Il cacciatore di nazisti, nel ruolo di chi, nella Germania opulenta del dopoguerra, si documentava sui molti che si erano «riciclati» da quel passato colpevole e criminale. Un ruolo impegnativo, cui si dedicava con ironica souplesse.

ERA UN ATTORE generoso, oltre che colto e bravissimo. Era tornato in Italia dal principato di Monaco dove si era trasferito qualche anno fa dal romano rione Monti, per stare accanto alla moglie malata Victoria Zinny, attrice anche lei soprattutto cinematografica, debuttò con Luis Bunuel in Viridiana. Ma aveva voluto in qualche modo esser presente a un piccolo e significativo festival che lui stesso aveva promosso, quello di Genesio sull’appennino marchigiano. Appariva provato, ma pronto e combattivo sul fronte dell’arte, e dell’umanità più generosa. Non recitava, ma non perdeva uno spettacolo, generoso e plaudente. È stata la sua ultima apparizione, ma indimenticabile.