Dal 29 agosto 2025 gli Stati Uniti hanno introdotto un nuovo regime tariffario che sta incidendo in modo significativo sull’export italiano. La modifica al regime de minimis ha eliminato la soglia di 800 dollari sotto la quale le merci potevano entrare duty-free, cambiando radicalmente le condizioni per oltre 34 mila imprese italiane attive nell’export. Il provvedimento colpisce settori chiave come agroalimentare, meccanica, automotive e farmaceutico.

Le nuove regole tariffarie

Il criterio del paese di origine è ora decisivo: se un bene è prodotto in Cina, anche se venduto da un’azienda italiana, il dazio applicato resta quello calcolato sul made in China. Questo meccanismo interessa sia le tariffe generali sia quelle legate a dispute commerciali come la Sezione 301 sui prodotti cinesi. Parallelamente, l’amministrazione statunitense ha aumentato dal 10% al 15% il dazio unico sulle merci provenienti dall’Unione Europea, ridisegnando la competitività delle imprese europee sui mercati americani. Le conseguenze sono immediate: incremento dei costi all’ingresso e contrazione dei margini, con un riflesso diretto sulla domanda interna negli Usa.

I settori più colpiti

Secondo le stime, circa 34mila imprese italiane sono esposte al nuovo scenario. Tra i comparti più penalizzati c’è l’agroalimentare: vini, olio e prodotti tipici devono affrontare costi doganali maggiorati che incidono sulle quantità esportate. Anche l’automotive resta sotto pressione, pur beneficiando di una riduzione dei dazi rispetto al passato (dal 25% al 15%), a causa della forte concorrenza asiatica e dei margini ridotti. Novità rilevante è l’inclusione del farmaceutico, settore che per la prima volta deve fronteggiare dazi all’ingresso negli Stati Uniti. Questo apre scenari incerti per un comparto considerato strategico e in costante crescita.

L’impatto macroeconomico

L’aumento dei dazi si somma al rafforzamento del dollaro, con effetti diretti sull’aumento dei prezzi finali negli Stati Uniti. Le principali associazioni di categoria stimano un impatto negativo sul PIL europeo compreso tra 0,2 e 0,3 punti percentuali nei soli mesi di agosto e settembre. L’Italia, insieme alla Germania, risulta tra i Paesi più vulnerabili, per la forte dipendenza dall’export verso il mercato americano. Gli ultimi dati Istat confermano il trend: ad agosto 2025 le esportazioni italiane verso gli USA hanno registrato un calo del 21,2% su base annua. La contrazione ha riguardato in particolare i beni strumentali e i beni di consumo non durevoli, ma il fenomeno appare diffuso su quasi tutti i settori.

Le ricadute sulle imprese digitali

Le conseguenze delle nuove barriere tariffarie non si limitano alla manifattura tradizionale. Il commercio digitale cross-border vive l’impatto in tempo reale: costi più alti, complessità burocratiche e tempi di spedizione più lunghi modificano prezzi e customer experience. Gli operatori del settore sottolineano come la variabile normativa sia ormai strutturale e richieda un costante adattamento delle strategie. Diversi osservatori come Calicantus, società veneta che opera come Ecommerce Service Provider e Merchant of Record, evidenziano la necessità per le aziende di rivedere i propri modelli organizzativi, investendo in strumenti di monitoraggio, simulazione dei costi doganali e diversificazione dei mercati. Questo approccio permette di reagire con maggiore tempestività a cambiamenti improvvisi e riduce il rischio di interruzioni nella continuità delle vendite.