«La sorpresa non è venuta da Hamas, è stato Trump a sorprenderci», ci diceva ieri un giornalista di Gaza commentando il sì, seppur parziale, del movimento islamico al piano americano per la Striscia, giunto nella tarda serata di venerdì, e la replica positiva del presidente statunitense. «Hamas – ha detto – come ci aspettavamo, ha accettato di rilasciare gli israeliani suoi prigionieri, ma non di disarmare la resistenza palestinese come pretende Israele e prevede il piano Usa. Perciò eravamo sicuri di una replica dura di Trump; invece, è andata in un altro modo».

Il via libera di Hamas, l’approvazione della Casa Bianca alla decisione del movimento islamico e la successiva scelta di Benyamin Netanyahu di accontentare Trump hanno portato alla ripresa, prevista per domani in Egitto, dei negoziati indiretti per l’attuazione della prima fase dell’iniziativa americana. Il piano prevede, anzi intima, il rilascio entro 72 ore, in un’unica soluzione, dei 48 israeliani – 20 dei quali vivi – nelle mani di Hamas e di altre organizzazioni, mentre Israele presenterà ai mediatori le mappe del ritiro dei propri militari corrispondenti al primo stadio.

Ieri, mentre si diffondevano le prime notizie su un raid aereo israeliano che ha ucciso decine di persone, tra cui bambini, nel quartiere di Tuffah (Gaza City), Trump ha ringraziato e apprezzato l’annuncio della «interruzione temporanea da parte di Israele dei bombardamenti». Quindi ha lanciato un nuovo pesante avvertimento: «Hamas deve agire in fretta, altrimenti sarà annullato tutto. Non tollererò alcun ritardo», ha scritto su Truth Social.

Oltre ai delegati di Hamas – vedremo se alla testa della delegazione ci sarà Khalil al-Hayya, che Israele il mese scorso ha cercato di assassinare a Doha assieme ad altri leader del movimento – domani saranno presenti al Cairo l’inviato Usa Steve Witkoff e l’ex consigliere presidenziale Jared Kushner. La delegazione israeliana sarà guidata dal ministro per gli Affari strategici Ron Dermer. I negoziati non si protrarranno per settimane, bensì per pochi giorni, perché Trump vuole il rilascio immediato degli ostaggi. In parallelo, scrivono i giornali israeliani, l’esercito manterrà la propria presenza all’interno della Striscia, con ritiri limitati lungo la cosiddetta «linea gialla». Il ritiro vero e proprio, aggiungono, inizierà soltanto dopo il completamento del processo di consegna dei prigionieri; le fasi successive saranno oggetto di ulteriori discussioni.

Israele sottolinea che quanto in corso non debba essere interpretato come un «cessate il fuoco», bensì come una temporanea riduzione dell’intensità delle operazioni militari. Il presunto contenimento dell’offensiva serve, spiegano gli israeliani, a dare ad Hamas il tempo per predisporre i meccanismi di consegna dei prigionieri, senza però consentire il ritorno dei civili a Gaza City. In ogni caso, avvertono, «l’opzione militare» resta sul tavolo.

Ieri sera, in un messaggio alla stampa israeliana, Netanyahu ha dichiarato di sperare di poter annunciare, nei prossimi giorni della festa di Sukkot, il ritorno in Israele di tutti gli ostaggi ancora in vita e dei caduti, in un’unica fase, mentre l’esercito israeliano resterà all’interno della Striscia. «Nella seconda fase Hamas sarà disarmata e Gaza sarà smilitarizzata: nel modo più facile o nel modo più difficile, ma ci riusciremo», ha minacciato. In quello stesso momento, migliaia di israeliani manifestavano nelle strade del paese issando striscioni con la scritta «Ora o mai più». Sempre ieri sera, il primo ministro ha incontrato i ministri dell’ultradestra Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, schierati contro il piano Trump.

In casa palestinese il dibattito è intenso. Gli abitanti di Gaza, in larga parte, applaudono gli ultimi sviluppi che, sperano, porteranno alla fine della guerra di Netanyahu. In Cisgiordania e nella diaspora palestinese si discute delle prossime mosse di Hamas che, di comune accordo con Jihad, Fronte popolare e altre organizzazioni combattenti, ha escluso la smilitarizzazione di Gaza. Non c’è dubbio che sul movimento islamico abbiano pesato anche  la condizione catastrofica della popolazione di Gaza e le enormi pressioni, anche da parte di paesi alleati come Turchia e Qatar, affinché accettasse il piano Trump, malgrado sia ampiamente sbilanciato a favore di Israele e offra, ma solo in futuro, ai palestinesi soluzioni molto vaghe.

«Hamas – ci ha detto l’analista italo-palestinese Mariam Abu Samra – ha accettato il piano, giustamente, per cercare di fermare lo sterminio del proprio popolo. Allo stesso tempo, a dimostrazione della compattezza del movimento di resistenza, ha respinto il disarmo». Tuttavia, avverte Abu Samra, «resta la perplessità intorno alle intenzioni di Netanyahu che, dopo aver ottenuto il rilascio dei prigionieri israeliani da parte di Hamas, in una seconda fase potrebbe non solo rioccupare e bombardare Gaza, ma anche allargare l’offensiva a livello regionale per chiudere la partita con l’Iran e il Libano».