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Gabriele Laganà

05 ottobre 2025

La pace nella Striscia di Gaza non è più una illusione. Certo, mancano ancora passi da fare, soprattutto da parte di Hamas. Ma una svolta sembra ormai vicina. Proprio per discutere i dettagli di un accordo di pace una delegazione di Hamas, guidata da Khalil al-Hayya, arriverà al Cairo, in Egitto, questo pomeriggio.

A riferirlo è la pubblicazione saudita Asharq al-Awsat, che cita una fonte a conoscenza dei colloqui. La stessa fonte ha anche riferito  che durante gli incontri le comunicazioni avverranno per il tramite di mediatori egiziani e qatarini, che saranno ospitati nello stesso edificio della delegazione israeliana, dell’inviato speciale degli Stati Uniti in Medio Oriente Steve Witkoff e di Jared Kushner, genero e consigliere di Trump. A rilanciare la notizia è il quotidiano israeliano  ‘Ha’aretz’. Una fonte di Hamas aveva precedentemente confermato alla stessa pubblicazione che Hamas è favorevole al raggiungimento di un accordo e che i prossimi negoziati servono per discutere la preparazione delle condizioni necessarie per il trasferimento degli ostaggi dalla Striscia di Gaza in Israele.  Gli ostaggi, come riferisce una fonte a conoscenza dei negoziati rilanciata ancora da  ‘Ha’aretz’, dovrebbero essere rilasciati gradualmente nel corso di diversi giorni. 

Formalità di cui occuparsi? Non proprio. Perché in Hamas c’è una frangia di irriducibili contraria ad un accordo di pace. Per queste figure, infatti, cessare le ostilità equivarrebbe ad una sorta di resa incondizionata. Come spiega il Corriere della Sera, che cita il Wsj, nell’organizzazione fondamentalista ci sarebbe una spaccatura, con i giovani più riottosi sull’accordo con Israele proposto da Trump. 

Hamas sarebbe formata da tre nuclei. Il primo è composto dai dirigenti della diaspora, il secondo è guidato dal capo militare/politico Izzedine al Haddad che si trova a Gaza e il terzo è rappresentato da nuovi elementi, molti dei quali hanno rimpiazzato gli ufficiali uccisi. Sarebbero proprio questi militanti ad essere contrari a contrari al piano di pace. Un fronte ben agguerrito che, per portare avanti i propri principi, starebbe sfruttando la debolezza dell’attuale gerarchia del gruppo. 

Ma che Hamas sia divisa al proprio interno non è una novità. In passato elementi che vivevano fuori della Striscia spingevano il braccio militare dell’organizzazione a compiere azioni più dure. E ciò entrava in contrasto con la guida primaria che invece non approvava tali posizioni.  Di recente, invece, la tesi dei contrasti interni è servita al gruppo per guadagnare tempo nel fornire una risposta alle pressioni esterne. Potrebbe essere la stessa situazione che si sta consumando anche oggi.

Intanto proprio Hamas nella Striscia sta affrontando non solo i soldati israeliani ma anche alcuni clan sostenuti dall’Idf. Nelle scorse ore l’organizzazione ha lanciato attacchi contro la comunità degli Al Majaida, nell’area di Khan Younis. Attacchi respinti dai droni israeliani e dai membri inquadrati nella milizia creata da Hussam al Astal. Costui è un ex membro della sicurezza dell’Autorità palestinese, armato da Israele, che gestisce la distribuzione di aiuti.

Il tempo per Hamas stringe. Trump è tutt’altro che propenso a concedere altri giorni di “riflessione” all’organizzazione islamica. Posizione, questa, sostenuta anche da Israele. Il ministro della Difesa Israel Katz, parlando a una cerimonia commemorativa per i soldati israeliani caduti della guerra dello Yom Kippur del 1973, si aspetta un’attuazione della prima fase del piano di pace. Altrimenti ha minacciato che l’offensiva riprenderà in grande stile. Le prossime ore saranno quelle decisive.