di
Guido Olimpio
Il portavoce di Hamas: «La perdita di mio figlio, del mio capo di stato maggiore e dei giovani che mi circondano è un dolore immenso»
Khalil al Hayya è riemerso dopo quasi un mese di silenzio. Il più importante dirigente della leadership in esilio di Hamas, infatti, è apparso in un’intervista alla rete Al Jazeera e, salvo smentite, dovrebbe guidare la delegazione nei negoziati in Egitto. Una conferma del ruolo primario in una fase decisiva e drammatica.
L’esponente palestinese era «scomparso» in concomitanza con il raid israeliano del 9 settembre a Doha, in Qatar. Un’incursione per eliminare i principali rappresentanti della fazione, tra cui Al Hayya. Nelle ore successive allo strike si erano diffuse voci incontrollate: lo hanno dato prima per morto, poi ipotizzavano che fosse ferito in modo serio e ricoverato. Era apparsa anche una sua foto che lo mostrava su un letto di ospedale ma, per alcuni, si trattava di un’immagine del 2021. Diverse fonti hanno poi smentito il suo decesso, così come quello di Khaled Meshal e di altri personaggi che si trovavano all’interno dell’edificio bombardato. Non era invece sfuggito allo strike il figlio di Al Hayya, eliminato dall’esplosione.
A distanza di una settimana dall’attacco avevano dato prova della loro «esistenza in vita» Ghazi Hammad e Bassem Naim, sempre parte del «cerchio» ospitato in Qatar. Ma proprio le loro dichiarazioni pubbliche hanno aumentato gli interrogativi sulla sorte di Al Hayya e di Khaled Meshal, secondo personaggio di spicco e già preso di mira dal Mossad nel 1996 in Giordania. Non si mostrano — era una delle spiegazioni — per motivi di sicurezza, temono che il nemico riprovi ad ucciderli. Tesi che non escludeva del tutto che i due avessero patito qualche danno fisico.
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Adesso Al Hayya è tornato ad un ruolo pubblico e, attraverso la tv qatarina, influente e ascoltata, ha lanciato un messaggio di lotta: il sangue versato — ha detto — sarà un percorso verso la vittoria e verso Gerusalemme. Ma ad attenderlo c’è una trattativa dove la sua fazione ha margini di manovra ristretti in quanto è sotto il diktat di Donald Trump, i missili di Netanyahu e la pressione dei mediatori, anche loro convinti che sia venuto il momento di un’intesa. Costosa perché può ridimensionare di molto Hamas e infatti lo schieramento è diviso, restio a consegnare le armi.
Al Hayya arriva all’appuntamento con alle spalle anni di esperienza. Originario di Gaza, membro del parlamento, guida politica e militare, ha imparato a muoversi su un terreno insidioso. Gli esperti israeliani ricordano le sue prese di posizioni sempre dure, le piroette che lo hanno portato a ringraziare l’Iran per il suo supporto alla causa per poi sostenere che era solo il Qatar a garantire un aiuto dove non c’era da «pagare un prezzo».
Nel 2020 era insorto contro un piano presentato da Donald Trump e giudicato inaccettabile; quindi, si era fatto notare con affermazioni che non lasciavano nulla al compromesso e, nei mesi scorsi, aveva rivolto accuse alla Giordania e all’Egitto, considerati troppo cauti, se non codardi, nell’appoggio a Gaza. Oggi si ritrova ad un punto dove le carte a sua disposizione sono poche ma questo non gli impedisce di rilanciare. Fino all’ultimo.
6 ottobre 2025 ( modifica il 6 ottobre 2025 | 08:02)
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