Sensibile e dissacrante, ironico e innovatore, eterodosso e politicamente scorretto: quanto manca Ivan Graziani, quanto manca, all’ecosistema della nostra canzone, un tipo come lui. Soprattutto a 80 anni dalla sua nascita, che ricorre il 6 ottobre.
Senza il suo passaggio terreno non avremmo avuto, buon ultimo, Lucio Corsi. E provate a rintracciarlo, oggi, un timbro vocale simile in tutto l’universo streaming, per non parlare di come il suo modo di suonare la chitarra fece scuola.
Riscoprire Ivan Graziani in 5 punti
Il libro
La vita e la carriera dell’inconfondibile e irriducibile artista teramano, per assurdo misconosciute, sono ora ripercorse in 248 pagine da Federico Falcone, che lo rievoca in maniera lineare ma devota («un colpo di fulmine»), con ampio ricorso ad aneddoti e retroscena. Comprese diverse (e qua e là un po’ pletoriche) interviste, dirette o di repertorio, a compagne e compagni di strada del “Pigro” dagli occhiali rossi, «voce acuta e sopracciglia folte».
“Ivan Graziani” di Federico Falcone
Le occasioni mancate e quelle colte al volo che hanno cambiato tutto
Dall’infanzia in provincia alla vocazione per il disegno (16 sono nel libro), dal debutto negli anni Sessanta con l’Anonima Sound (li passava in radio Bandiera Gialla), sotto lo scudo del suo mentore Nino Dale (il “Frank Sinatra abruzzese”), al trasferimento per cercare fortuna a Milano, nel nuovo volume, troviamo di tutto che appartenga agli inizi o agli anni migliori della sua carriera. C’è quella volta che rifiutò di interpretare Non credere: la adottò Mina, e ne vendette milioni di copie. C’è il matrimonio con Anna Bischi, sua musa, collaboratrice principale e «stella polare». L’accasamento alla Numero Uno di Mogol e l’incontro con Battisti, che lo stimava così tanto da precettarlo, per esempio, come chitarrista in Ancora tu. Un altro rendez-vous elettivo fu quello con Renato Zero, che si protrasse fino alle sue ultime stagioni esistenziali e creative. E pensate che per un soffio non divenne il cantante della Pfm, Ivan, come rivela Patrick Djvas. Ma l’abito di una band, benché siderale come la predetta, gli sarebbe stato stretto.
Gli anni di Agnese
Brani sognanti e stralunati, e dal solido imprimatur rock’n’roll: eccoci giunti al successo di fine anni Settanta, sulle ali di ballate sublimi e agrodolci come Agnese (1979). La cifra lirica di Graziani si affina e si profila nel panorama, pur affollato di talenti, di quel tempo: amori giovanili, la potenza della memoria, tranche de vie bucoliche o provinciali, pennellate di mondi e figure femminili passibili di eternità. I ritmi lenti della natura, la bellezza delle relazioni genuine e della common people, l’elegia delle cose semplici. Agnese, Lugano Addio (1977) e Firenze (canzone triste) del 1980 sono gioielli che ancora accendono il cuore, toccando le corde più preziose di ogni generazione. E dire che erano state composte quando il Belpaese stentava a uscire dagli anni di piombo. “Per questo canto una canzone triste, triste, triste/Triste, triste, triste/Triste, triste, triste/Triste come me/E non c’è più nessuno/Che mi parli ancora un po’ di lei/Ancora un po’ di lei”.