di
Mara Gergolet
L’accelerazione tedesca cambia i giochi della Difesa dell’Unione europea
DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE
BERLINO – Tra i litigi e i progetti annaspanti del riarmo europeo, c’è un gioiellino che comincia ad attrarre attenzione. Si chiama Knds, è sinonimo dei panzer: e punta a quotarsi in Borsa nei primi mesi del 2026. Né il suo management nasconde l’ottimismo: «Una quotazione a primavera è realistica», ha detto il ceo francese Jean-Paul Alary.
Knds è nata 10 anni fa dalla fusione di un’azienda famigliare tedesca, la Krauss-Maffei-Wegmann, e lo Stato francese (attraverso la Nexter). È in un paesino della Baviera di 5 mila anime che ha origine il Leopard, il tank «standard» della Nato. Si parla di una quotazione sui 20 miliardi. Alta, per una società che ha chiuso il fatturato nel 2024 con 3,8 miliardi. Sono multipli da aziende del lusso. Come mai? La risposta è semplice: perché già si scontano le commesse future e quelle dei tank sono destinate a esplodere. Non senza reazioni a catena, che toccano anche l’Italia.
A Berlino negli ambienti di governo si dà per certo che, quando le quote saranno collocate sul mercato (tra il 20 e il 30%), lo Stato tedesco entrerà tra gli azionisti. E se da una parte affluiranno i capitali privati — come per Rheinmetall, reginetta del Dax, il listino con i titoli di maggiore capitalizzazione —, dall’altra l’ingresso dello Stato tedesco mostra quanto Knds sia centrale per Berlino. Non si tratta solo di produrre tank: ma di ancorarvi una strategia nazionale, politico-militare. Anche se non è detto il governo pretenda la golden share. «Se sei nell’azionariato e primo committente, hai abbastanza leve anche senza la golden share», spiega una persona a conoscenza delle trattative.
Il fatto è che il piano Merz, il «riarmo senza vincoli di bilancio» ha cambiato le carte in tavola. Il tank Leopard2 è in uso in 18 Paesi, perlopiù Nato — e la Germania vuole farne un perno della difesa terrestre europea. La Bundeswehr (forze armate) piazzerà ordini per mille Leopard2 e 3 mila cingolati per la fanteria, i Boxer (senza parlare dell’artiglieria). Commesse gigantesche. Ma Berlino ha aumentato il suo bilancio per la difesa di 40 miliardi (che da solo, per fare un paragone, equivale al budget annuale della difesa italiana, stipendi compresi). Un top manager tedesco confida: «Fuori non si è capito, ma è una rivoluzione. Tutti noi parliamo di come riorganizzare i processi produttivi, di nuove catene di approvvigionamento. È un inversione a U rispetto a tutto quello che nella nostra industria è successo dal 1989».
L’Italia, si sa, ha fatto marcia indietro su Leopard2 e Boxer. Furono scelti in un primo tempo per sostituire i disastrati Ariete e Dardo, i carri nazionali simbolo di un flop, con una votazione in Parlamento a inizio 2024. Decisione poi annullata dal governo, senza che l’opposizione avesse nulla da ridire. E si è scelto, invece, di costruirsi il carro in casa affidandolo a Leonardo /Rheinmetall (60/40). Disegnandolo ex novo: un’impresa di Sisifo, per i tecnici del settore, e in controtendenza.
Si scrisse molto, all’epoca, di quella rottura. Maturò quando Leonardo restò esclusa dal tank di prossima generazione Mgcs (Main ground combat system, il «sistema dei sistemi») a guida franco-tedesca; e quando neppure la componentistica (elettronica in primis) che Leonardo proponeva è stata accettata per le evoluzioni dei tank Leopard. A Berlino, allora, c’era il governo del socialdemocratico Scholz. Secondo ambienti diplomatici, ci fu se non arroganza verso l’Italia, di certo freddezza e nessun aiuto.
Ma stiamo parlando, appunto, di un’era geologica fa. Con Merz va meglio. L’Italia però ha scelto il suo tank nazionale, che i detrattori hanno subito ribattezzato il «carro autarchico». L’Ucraina ha spiegato bene a tutti, perché ha senso — nelle azioni interoperative, nella guerra moderna — avere scala e standard comuni. «Se ti si rompe un cingolo — dice un militare — nessuno ti può aiutare. E i cingoli si rompono sempre».
Non è l’unico problema. Il progetto Leonardo/Rheinmetall puntava a cambiare il mercato europeo, e promette una tecnologia superiore. Solo che la concorrenza ha messo il turbo: Knds ha ampliato la fabbrica di Kassel, comprato da Alstom uno stabilimento a Görlitz, quadruplicherà le linee di produzione entro il 2028, progetta di montare carri come fossero auto. Chi comprerà i tank italiani? Non certo l’esercito tedesco. Tra i militari a Roma si sa che la partita è complicata, e non risulta che i contratti esecutivi siano stati firmati. Ma se il progetto, dall’inizio, non mancava né di ambizione né di rischio, nessuno aveva previsto davvero la velocità (e il peso) del riarmo tedesco.
7 ottobre 2025
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