Roma, 7 ottobre 2025 – Un nemico invisibile che spunta all’improvviso e tiene in scacco l’Europa. Le incursioni di droni si moltiplicano: in Danimarca, in Polonia e recentemente anche in Germania. Ma di un responsabile ufficiale neanche l’ombra. Una delle ipotesi più diffuse, però, parla di un’ingerenza russa, nonostante il Cremlino neghi con forza ogni accusa. Resta però un interrogativo: i droni hanno un raggio d’azione limitato. In che modo la Russia potrebbe gestire un’operazione simile nel cuore dell’Unione Europea? Tra navi fantasma nei mari del Nord e basi militari ai confini orientali, lo scenario appare meno remoto di quanto sembri.

La nave sospetta della flotta fantasma russa

Inviare droni nello spazio aereo di un altro paese non è solo una violazione del diritto internazionale, sancita dall’articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite, che vieta l’uso della forza contro l’integrità territoriale degli Stati, ma rappresenta anche un enorme disagio per il paese coinvolto. Le basi militari si attivano, il traffico aereo viene bloccato e migliaia di passeggeri restano a terra. Tutto questo si traduce in costi (significativi) nell’immediato, un mare di soldi che vanno in fumo già solo per la presenza di droni. Che rappresentano anche un segnale di allerta in grado di paralizzare un Paese: di chi sono? Perché volano impuniti sopra le nostre teste? Bisogna preoccuparsi? I casi che hanno interessato i paesi europei hanno scosso l’opinione pubblica. Del resto, violare uno spazio aereo non dovrebbe essere così semplice. Ancora peggio, non si sa con certezza chi sia responsabile. I sospetti sulla Russia, al momento, sembrano la tesi più accreditata. E gli ultimi sviluppi non migliorano l’immagine del Cremlino: il primo ottobre, il Guardian ha riportato che l’esercito francese ha abbordato una nave della cosiddetta ‘flotta ombra’ russa, la Boracay.

La nave russa Boracay della presunta flotta fantasma Russa nel porto francese di Saint Nazaire (Ansa)

La nave russa Boracay della presunta flotta fantasma Russa nel porto francese di Saint Nazaire (Ansa)

La nave era stata intercettata dalla Marina transalpina il 28 settembre e dirottata verso la costa occidentale della Francia, mentre le indagini sono ancora in corso. L’ormai ex premier francese (almeno per il momento), Sébastien Lecornu, ha confermato il 2 ottobre che le truppe transalpine sono salite a bordo della nave ancorata al largo di Saint-Nazaire nell’ambito di un’inchiesta statale, e due membri dell’equipaggio sono stati arrestati.

Finora, però, nulla di definitivo: da quando le sanzioni hanno colpito duramente l’economia russa, il Cremlino ha cercato di aggirarle con queste cosiddette ‘shadow fleets’. E ora si pensa che le navi possano essere utilizzate anche come base di lancio dei droni che hanno invaso l’integrità territoriale di alcuni paesi europei. Del resto, solo una settimana prima dell’intercettazione della Borocay, proprio nei cieli di Copenhagen, droni erano stati avvistati causando la chiusura dell’aeroporto per circa quattro ore. In quell’occasione, Jens Jespersen, capo della polizia della capitale danese, aveva dichiarato che i droni probabilmente erano controllati a diversi chilometri di distanza, possibilmente da una nave.

Boracay, la nave fantasma russa che alimenta i sospetti

La Boracay è una petroliera ritenuta parte della cosiddetta ‘flotta fantasma’ russa, impiegata per aggirare le sanzioni imposte dopo l’invasione dell’Ucraina. La nave ha lasciato la Russia lo scorso mese e, secondo quanto riportato dal Guardian, si trovava al largo della costa danese quando una serie di droni non identificati ha costretto alla chiusura temporanea di diversi aeroporti. Oggi la Boracay è ancorata al largo della costa occidentale della Francia, dove rimane da alcuni giorni per consentire il proseguimento delle indagini. Che la nave sia effettivamente ‘fantasma’ è plausibile anche solo guardando i suoi movimenti: dal 2019 a oggi ha cambiato bandiera quattro volte, una mossa che rende più difficile rintracciarla o perseguire legalmente. Prima di quell’anno la Boracay era registrata sotto una società riconosciuta delle Isole Marshall, con tracciabilità relativamente trasparente. Dopodiché ha iniziato a cambiare frequentemente bandiera e nome, una pratica comune che serve a  depistare il tracciamento delle autorità internazionali. Tuttavia, non è possibile perdere completamente traccia di una nave poiché tutte possiedono un codice IMO inciso sullo scafo, una sorta di ‘targa’ permanente che le rende identificabili e tracciabili anche in caso di cambio di nome, bandiera o disattivazione del transponder AIS, sistema che trasmette in tempo reale la posizione e i dati di navigazione alle autorità e ai siti di monitoraggio.

Secondo i dati registrati su Vesselfinder, la Boracay sarebbe partita dal porto di Primorsk, in Russia, il 20 settembre alle 5:11 UTC. I primi avvistamenti a Copenhagen da parte dei droni risalgono invece al 22 settembre. Considerando che la distanza via mare tra la capitale danese e il porto russo è di circa 1.000 km e che una petroliera come la Boracay naviga a una velocità media di circa 13 nodi, risulta del tutto plausibile che già il 22 settembre la nave potesse trovarsi nei pressi delle coste danesi. Inoltre, con 244 metri di lunghezza e circa 43 di lunghezza, la Boracay potrebbe effettivamente offrire spazi abbastanza grandi per immagazzinare e lanciare droni grande dimensione. Tuttavia, nonostante l’analisi possa suggerire una correlazione tra l’avvistamento di droni e il fermo della nave da parte delle autorità francesi, non ci sono ancora notizie ufficiali che confermino o smentiscano l’indiscrezione.

Una mappa di Kaliningrad, exclave russa in Europa

Una mappa di Kaliningrad, exclave russa in Europa

Le basi russe in grado di lanciare droni

Per quanto la tesi della ‘shadow fleet’ russa raccolga più consensi, vale la pena esplorare anche altre ipotesi su come droni di ricognizione possano essere mandati verso l’Europa. Ipotizzando, sempre nel rispetto della presunzione di innocenza, un coinvolgimento del Cremlino, è plausibile che postazioni lungo il Mar Baltico abbiano comunque avuto un ruolo chiave per raggiungere la Danimarca e la Germania settentrionale. In particolare, l’esclave di Kaliningrad (con le basi aeree di Chernyakhovsk e Chkalovsk e la base navale di Baltiysk) potrebbe essere stata usata come base di lancio proprio per la sua posizione a breve distanza dal Baltico e la presenza di infrastrutture militari. La posizione di Kaliningrad è infatti compatibile con diversi Uav militari o con sistemi supportati da collegamenti a lunga portata.

Soldati polacchi alzano una cortina di filo spinato al confine con l'enclave di Kaliningrad (Afp)

Soldati polacchi alzano una cortina di filo spinato al confine con l’enclave di Kaliningrad (Afp)

Anche le strutture nella regione di San Pietroburgo e nel Golfo di Finlandia, possono operare nel Baltico. Per quanto riguarda i casi di avvistamento di droni nell’Est Europa, le basi usate in Bielorussia durante esercitazioni congiunte rendono possibili lanci verso la Polonia.