Nei Cpr non è garantito un adeguato livello di assistenza sanitaria. Lo ha stabilito una sentenza del Consiglio di Stato, pubblicata ieri, che ha parzialmente annullato un decreto del Viminale del marzo 2024 contenente lo schema di capitolato d’appalto per la gestione e il funzionamento dei Centri per il rimpatrio.

La decisione, nata da un ricorso presentato dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e da Cittadinanzattiva, contesta in modo specifico le parti riguardanti l’assistenza sanitaria, le spese mediche e il personale, «con particolare attenzione alle previsioni a tutela delle persone trattenute con vulnerabilità psichiatrica o sottoposte a trattamento farmacologico», soprattutto rispetto alla necessità di evitare atti di autolesionismo o di suicidio.

Un ricorso che era stato, in prima battuta, respinto dal Tar e invece accolto dai giudici di Palazzo Spada che hanno in più parti dato ragione alle associazioni. Le carenze rilevate da Asgi e Cittaddinanzattiva vanno dalla mancata formazione specifica richiesta al personale all’insufficienza della presenza oraria di quello medico alle carenze nella tenuta della documentazione clinica.

Preoccupazioni che secondo il giudice amministrativo trovano più riscontri: innanzitutto la relazione del Garante nazionale dei diritti dei detenuti del 2023, che già rilevava che nei Cpr la situazione delle persone vulnerabili e sottoposte a trattamenti farmacologici è «problematica e presenta diverse criticità».

Contenuti rispetto ai quali il Viminale, viene indicato, «non ha preso specificatamente posizione». Situazioni problematiche che sono state confermate anche da un altro rapporto, quello redatto nel 2024 dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti o pene inumani o degradanti (Cpt), un organismo del Consiglio d’Europa. Dunque i giudici amministrativi hanno ritenuto che il capitolato d’appalto non ha rispettato in pieno le linee guida già indicate in una precedente direttiva ministeriale del 2022, che stabiliva criteri per il funzionamento dei Cpr. In particolare, al Viminale viene contestato che «in un contesto delicato come quello della gestione dei Cpr, è essenziale non solo una conoscenza profonda della realtà nella quale va a incidere l’azione amministrativa, ma anche che la stessa si avvalga del supporto di tutte le amministrazioni che dispongono di competenze relative alla materia affrontata».

A mancare è stata soprattutto la considerazione delle valutazioni del Tavolo di coordinamento e sicuramente non c’è stato il coinvolgimento del ministero della Salute né del Garante dei detenuti. La norma quindi andrà rivista in più parti dal ministero dell’Interno per adeguarla a tutti i rilievi contestati. Il Viminale, che aveva presentato un proprio ricorso che è stato però respinto, è stato condannato a pagare le spese processuali ad Asgi e Cittadinanzattiva: dodicimila euro in totale, seimila ad associazione.