Il secondo libro di Nathaniel Ian Miller, La Fattoria del cane rosso (pp. 304, euro 19,50), edito da Blu Atlantide nella traduzione di Alessandra Osti, evoca paesaggi sconfinati e conferma il giovane autore canadese come una stella emergente del panorama dei romanzi di formazione, alla ricerca costante di quell’umanità capace di contrastare gli effetti del processo di modernizzazione dei nostri tempi.

MILLER ESORDISCE NEL 2023 con Le Memorie di Sven Stoccolma (sempre per Blu Atlantide) fiction storica ambientata nel 1916 e tradotta in molte lingue. Il secondo romanzo generalmente conferma e delinea, quando non delude o confonde, il percorso del suo autore con tematiche e cifre stilistiche. Se Sven Stoccolma cercava una luce nelle sue stesse crepe, in La Fattoria del cane rosso il giovane protagonista Orri è una vita luminosa che scopre le proprie ferite. Cresciuto in una fattoria nell’ovest dell’Islanda, per Orri è arrivato il momento di crescere e abbandonare il nido. Ma tutto ciò che credeva di desiderare arrivando nella grande città, ora improvvisamente gli toglie il sonno. Alle sue inquietudini si unisce la notizia di una forma di depressione che sta pesando sul padre e questo basta per iniziare il suo vero viaggio di scoperta, a ritroso e verso casa.

Rivedere tutto ma scoprirlo per la prima volta: la sua fattoria, il cielo limpido, le sue mucche, il lavorare la terra, la sua famiglia e sì, anche il suo Rykug, il cane rosso del titolo. L’Islanda svolge un ruolo da protagonista, non solo per le capacità descrittive dell’autore sempre vivide e sorprendenti, ma anche per il modo in cui esse doppiano il personaggio principale rendendo Orri e l’Islanda due volti della stessa medaglia. Parliamo di una terra sospesa tra vulcani e oceano, con un paesaggio costantemente mutevole. Lo scenario sia geografico che spirituale e psicologico evolve allo stesso passo: «puó esserci una montagna dove c’era una città, oppure un’isola dove prima c’era solo mare». Al viaggio di formazione e al rapporto tra Orri e la sua terra, si aggiunge un terzo elemento che arricchisce il romanzo: il valore della famiglia, qui vista come un paesaggio che crediamo di abitare e che invece ci abita.

I SOGNI DEL GIOVANE si modificheranno andando a intaccare quella logica tutta occidentale per cui il vivere bene ha a che fare con la società dei consumi, dove prospera la divisione delle classi e l’ansia per il domani. Nella sua terra Orri interroga le proprie convinzioni, affronta la figura paterna e scava nella sua eredità culturale, lasciando intervenire i suoni della propria infanzia che diventano ricordi, indizi preziosi per ogni crescita personale. L’incertezza del diventare adulti trova una presa di posizione nell’accettazione della vita in tutte le sue sfumature e soprattutto nelle possibilità del cambiamento, come avviene nella terra dell’Islanda, teatro e anima del testo. Miller inoltre usa l’espediente dell’incontro, come già visto in Sven Stoccolma, ma qui senza indugiare troppo sull’intervento esterno. Tutto in La Fattoria del cane rosso viene da dentro, da un’essenza radicata nel luogo e nelle persone che lo vivono, rendendolo unico e particolare.

ISOLATO E IMMERSO nella natura, il passato è destinato a scomparire. Per sopravvivere ha bisogno delle cure di un gesto gentile, lo stesso che sembra muovere la penna di Miller e dal quale, in futuro, è probabile aspettarsi altri nuovi viaggi. Per ora si può dire che i suoi amati Orri e Sven non si assomigliano poi così tanto, ma condividono uno scopo comune: il bisogno di assimilare quel tutto che la vita ci offre nei suoi momenti più intimi e riuscire a fermarsi per un attimo, guardando lontano, ma sentendo di essere presenti a sé stessi, fermi. E infine, respirare.