“Ho sempre detto che non solo il vino, ma anche il pane è l’espressione del terroir. È il territorio che entra dentro il cibo. Se il pane è fatto nella maniera giusta, con lavorazioni, grani e mugnai giusti, è veramente una vera e propria espressione del mondo a cui appartiene”. Racconta così Fulvio Marino il suo nuovo libro “Tutto il mondo del pane” (Slow Food Editore) che è un atlante fatto di 400 pani diversi, di scuole, tecniche e lieviti madre che ha incontrato nei cinque continenti.

La ricetta

Baguette perfetta fatta in casa? Tutti i segreti di Fulvio Marino per non sbagliare

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“È il risultato di un lavoro che ho iniziato da tantissimi anni – racconta a Il Gusto –. Vorrei dimostrare che il pane è espressione regionale di un territorio, di una popolazione, di momenti storici, di una cultura, una socialità. E succede così in tutto il mondo: pani e forni che sanno di storia che raccontano usi e costumi”. Ma anche contaminazioni, paesi che si incontrano a tavola. “Penso al San Francisco sourdough, il pane di San Francisco; al pane di segale del Nord Europa, ai pani africani, l’Himbasha che non è solo un cibo ma anche posata che strizza l’occhiolino alla nostra scarpetta”.

Nel libro si parla dei diversi cereali del mondo, e dei diversi lieviti madre. “Ho cercato di codificare, distinguere quello che succede nel mondo a seconda della tipologia di scuola che c’è dietro al pane. Ci sono la scuola francese, la scuola nord europea, la scuola orientale, la scuola africana e per ciascuna si fa riferimento a lieviti madre che cambiano in giro per il mondo: un po’ perché cambia l’ambiente intorno, ma anche le tecniche utilizzate sono diverse”.

Fulvio Marino

Fulvio Marino 

Alla scuola italiana Fulvio Marino ha dedicato un altro libro, “Tutta l’Italia del Pane”. “In Italia abbiamo una scuola che è figlia delle diverse regioni e quindi figlia della biodiversità, di tanti cereali diversi. In Italia siamo maestri nel lavorare la farina di grano, la semola di grano duro piuttosto che la segale. Abbiamo tantissimi pani di mais e da lì poi le paste dure del centro Italia, del nord Italia. La scuola del pane italiana riflette esattamente la nostra cucina. È una scuola biodiversa. E quindi è senza dubbio una delle scuole più importanti al mondo”.

Nonostante lavori nel pane da quando è nato, nello scrivere questo libro, nelle sue ricerche Fulvio Marino confessa di essersi anche stupito. “Sì, ne conoscevo ovviamente tantissimi, ma ho avuto la fortuna di stupirmi ancora. Di vivere esperienze incredibili come panificare in America con dei messicani o negli Emirati Arabi con degli indiani. Forse la bellezza di questo libro è proprio nello stupore che si proverà a vedere tanti pani diversi. Mi viene in mente il Volcano Bread, che è un pane islandese che viene fatto utilizzando il calore dei geyser. Le pentole o i contenitori di terracotta in cui cuoce vengono sotterrate, si mettono le bandierine nella terra per ritrovarlo. E il pane, che è un pane con melassa e farina di segale lievita e cuoce nello stesso contenitore per 24 ore. Io l’ho rifatto a casa, usando la pentola in ghisa. Secondo me è un pane molto interessante che si conserva tantissimo tempo e si allontana un po’ da quello che è il pane classico che conosciamo”.

C’è anche un pane che solo per il nome potrebbe far discutere. “I pineapple buns che uno potrebbe pensare che siano all’ananas, invece no. In realtà è un bellissimo pane. Si chiama così perché la superficie a scacchi ricorda la buccia del frutto. Si compone di una parte superiore croccante e dolce data dall’impasto di zucchero, uova, farina e strutto, e da una parte inferiore morbida simile al comune pane di Hong Kong. È un panino morbido che può andare sicuramente bene sia col dolce che col salato: mi piace molto questa versatilità”.