Tutti riconoscono le figure femminili eteree e sinuose di Alphonse Mucha, divenute simbolo dell’Art Nouveau, ma pochi sanno chi è veramente l’artista ceco maestro indiscusso di questo stile che ha rivoluzionato l’immagine della donna a fine Ottocento. A colmare questa lacuna arriva a Roma da domani 8 ottobre la più ampia retrospettiva mai dedicata all’artista, ‘Alphonse Mucha. Un trionfo di bellezza e seduzione’, a Palazzo Bonaparte sino all’8 marzo, con una selezione di oltre 150 opere calate in una atmosfera immersiva che ricrea il clima dell’epoca (Parigi fu la sua città d’adozione), senza dimenticare un tuffo nel teatro con alcuni dei celebri manifesti realizzati per gli spettacoli della divina Sarah Bernhardt. O le prime pubblicità consegnate alle sue donne iconiche immerse nei manifesti tra il marchio da reclamizzare e un tripudio di fiori. Ospite d’onore della mostra, prodotta e realizzata da Arthemisia con la Mucha Foundation, in cui l’artista di Ivančice dialoga con grandi maestri suoi contemporanei come Giovanni Boldini e Cesare Saccaggi, è la Venere di Botticelli prestata dai Musei Reali-Galleria Sabauda di Torino. “Siamo convinti che ci sia un fil rouge che lega Botticelli e Mucha basato sull’importanza della bellezza come canone superiore; le donne di Mucha hanno una grazia e una spiritualità che l’accomuna al maestro del rinascimento” spiega Annamaria Bava, co-curatrice con Elisabeth Brooke della mostra.
L’esposizione, che rappresenta un viaggio nell’intera opera di Mucha (1860-1939) attraverso tutti i suoi capolavori (tra cui Gismonda, che lancia il suo sodalizio con l’attrice Bernhardt; Médée, del 1898; la serie The Stars del 1902 o quella sulle Pietre Preziose del 1900 o ancora gli studi sull’Epopea Slava) provenienti dal Mucha Museum di Praga, si snoda in un percorso che oltre a dipinti iconici dell’Ottocento e del Novecento si arricchisce anche di arredi, oggetti e mobili Art Nouveau rivelando prospettive nuove della fortuna di Mucha e del movimento artistico che più di ogni altro caratterizzò il periodo storico compreso tra il 1871 e il 1914. “Alphonse Mucha diceva che l’arte non puo’ essere nuova perché è eterna” ricorda la direttrice scientifica dell’esposizione Francesca Villanti.
“E noi siamo partiti proprio da questa idea, quella che lui rappresenta non è una bellezza fine a se stessa ma un veicolo di valore intellettuale e spirituale, un arte che doveva elevare lo spirito e arrivare a tutti”. Le donne di Mucha sono eteree sì ma non sono più madonne da idolatrare o dee irraggiungibili, bensì protagoniste consapevoli di una nuova scena sociale e culturale, come quelle che nella Parigi di quegli anni ritraeva Giovanni Boldini con le sue pennellate rapide o che Cesare Saccaggi evocava nella sensuale Semiramide orientaleggiante. Una donna moderna che rivendica la centralità del proprio ruolo senza perdere nulla della femminilità, esprimendo negli sguardi sensualità, dolcezza ma anche determinazione.
“Nel celebrare il 25º anniversario di Arthemisia, volevamo rendere omaggio alle donne e alla bellezza femminile, temi che da sempre attraversano la storia dell’arte con grazia, forza e profondità”, afferma Iole Siena, presidente di Arthemisia annunciando per il prossimo anno in primavera una mostra dedicata al pittore e incisore giapponese Katsushika Hokusai e, in autunno, una esposizione su Wassilj Kandinskij, un grande ritorno per la città di Roma. La mostra su Mucha, in partnership con Generali Valore Cultura, si avvale del patrocinio del Ministero della Cultura, della Regione Lazio, del Comune di Roma -Assessorato alla Cultura, dell’Ambasciata della Repubblica Ceca.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA