Gianmarco Garofoli è stato lo stakanovista della maglia azzurra. Il marchigiano si è sciroppato tre weekend di fila tra europeo gravel, mondiale ed europeo su strada. E lo ha fatto con ottimi risultati ovunque, mostrando un attaccamento alla nazionale come poche altre volte si è visto.
Tutto nasce dalla buona condizione dell’atleta della Soudal-Quick Step, che anche ieri si è ben mosso alla Tre Valli Varesine.
«Sto facendo un bel finale di stagione – commenta Garofoli – sono molto contento di come sono andate queste ultime gare. Mi sono fatto trovare pronto alla chiamata del commissario tecnico all’ultimo momento per il mondiale, e da lì in poi sono cresciuto. Manca certo la vittoria, qualche risultato di spessore, ma arriverà: quando stai sempre lì davanti, prima o poi arriva, ne sono sicuro».


Partendo da questo tuo finale di stagione, Gianmarco, viene da dire: peccato per quella Vuelta non finita per poco. Ma guardando il bicchiere mezzo pieno… magari ora sei più fresco.
Guardiamo al bicchiere mezzo pieno… Sì, vero, anche se l’ultima settimana è stata abbastanza facile per quello che mi hanno detto gli altri compagni, visto che con le proteste per la Palestina che hanno interrotto le varie tappe, alla fine la parte più dura è stata la seconda settimana.
In effetti nell’ultima settimana sono rimasti uguali all’originale l’arrivo vinto da Pellizzari e la Bola del Mundo…
Esatto, infatti dico che sono veramente super soddisfatto di questa stagione. Penso che, se me l’aveste chiesto a inizio anno, sarebbe stato impossibile pensare di partecipare al Giro d’Italia, al mondiale, alla Vuelta, agli europei. Ho fatto tutte belle gare, ho dimostrato di andare forte e di essere uno di quelli forti. Questo è impagabile, sono ritornato ad alto livello.
Ci ha colpito tanto questa tripletta in nazionale: europeo gravel, mondiale, europeo strada. Com’è andata? Partiamo dall’europeo gravel…
Già durante la Vuelta stavo un po’ guardando i calendari gravel e ho visto che c’era il campionato europeo “vicino” casa mia, ad Avezzano. Mi è scattata subito l’idea di poterci andare, anche perché in quel momento non avevo in programma né il mondiale né gli europei su strada.


Volevi allungarlo un po’, insomma?
Sì, infatti mi sono detto che dopo la Vuelta mi sarebbe servita una gara per tornare a divertirmi, perché dopo un Grande Giro sei sempre un po’ stanco mentalmente. E poi volevo cambiare, fare questa bella esperienza. Era vicino casa, quindi la trasferta non era così impegnativa. Dentro di me ha iniziato a girarmi questa idea. Ho parlato con la squadra, ho spiegato il mio interesse per una gara gravel – che non avevo mai fatto – e loro mi hanno supportato. Poi, parlando con Bramati, mi ha detto che avrebbe sentito il cittì Daniele Pontoni.
E lui ti ha chiamato?
Quasi subito. Daniele era contentissimo di questa mia disponibilità. E’ nato tutto così, una cosa dietro l’altra. Poi mi sono ammalato e ritirato dalla Vuelta. Sono stato un paio di giorni fermo a letto, ma col senno di poi mi ha fatto bene, perché la condizione era buona. Sono andato a questo europeo gravel senza grosse ambizioni o aspettative. Invece andavo forte. Peccato una foratura nel momento sbagliato.
Cosa è successo?
Ho dovuto fare 15 chilometri con la ruota completamente a terra. Ho perso sei minuti. Magari avrei potuto giocarmi una medaglia. Vincere è sempre difficile, ma una medaglia credo di sì, perché andavo veramente forte. Poi ho provato l’inseguimento, stavo recuperando, ma quando perdi così tanto… Ho fatto tutta la gara a inseguire. Mi è dispiaciuto, perché non sono mai stato nel vivo della corsa, nonostante la gamba ci fosse.


Serve anche un po’ di fortuna nel gravel…
Mi sono divertito tantissimo, è stata un’esperienza bellissima. E’ stata anche molto dura, perché il gravel è davvero impegnativo. Non me l’aspettavo così.
Quando hai deciso di fare il gravel, ti sei fatto mandare una bici a casa?
Sì, ma è arrivata tre giorni prima della gara. Ho sistemato un po’ le misure e sono andato alla scoperta…. Ripeto: è stato bellissimo. Credo che non sarà la mia ultima gara gravel. Anzi, il cittì mi ha anche proposto: «Vieni a fare il mondiale?». Ma coincide con il weekend del Lombardia.
Andiamo avanti. Cosa è successo dopo l’europeo gravel?
Sono tornato a casa pensando al finale di stagione. Mi aveva già contattato Marco Villa per il campionato europeo su strada, perciò mi stavo allenando con calma verso quell’obiettivo. Cercavo di recuperare dal gravel e di ricostruire la condizione per l’europeo e il finale di stagione. Poi è arrivata questa chiamata…
Dove stavi quando è arrivata?
Ero a casa, in videochiamata con la nutrizionista della squadra. Appena ho chiuso, mi ha chiamato Bramati: «Guarda, mi ha chiamato Villa che vai al mondiale. Fai la valigia». Poco dopo sono partito per allenarmi: è stato surreale.


La testa dov’era in quel momento?
Avevo l’adrenalina a mille, non capivo niente, ero nervosissimo. Non sapevo che allenamento fare: due ore, cinque ore? Chiamavo il preparatore che non rispondeva, ero nel panico. Poi mi sono detto: dai Gianmarco, calma. Tanto non si può inventare nulla in pochi giorni. Ho fatto un discreto allenamento, poi a casa, valigia e via.
Ti è arrivato il biglietto aereo all’ultimo momento?
Sì, tutto all’ultimo. Era martedì, il mercoledì sera sono partito e giovedì mattina ero in Rwanda. Una volta in Africa, ho fatto due allenamenti, ma i primi giorni sono stato male per l’altura e lo smog. Avevo paura di fare una figuraccia al mio primo mondiale, invece è andato tutto bene. Il primo giorno in cui mi sono sentito bene è stato proprio quello della gara. Appena finito il mondiale, già pensavo all’europeo: sono andato diretto dal Rwanda alla Francia con la nazionale.
Tu e Frigo siete stati i due azzurri che avete fatto sia il mondiale che l’europeo su strada, giusto?
Sì. Pensate che non torno a casa dal mondiale. Avevo preparato la valigia di corsa solo per la trasferta in Rwanda e invece ho fatto tutta una tirata fino in Francia e poi qui alle gare italiane. Quando è venuta mia mamma all’europeo e mi ha portato i ricambi, i vestiti della Quick-Step…


Parliamo dell’europeo su strada. Sei andato benone, uno dei 17 superstiti…
Credo che il mondiale mi abbia dato tanto. Se l’avessi preparato a lungo, forse non mi sarebbe venuto così bene, proprio perché non avevo aspettative. In Francia invece ero più mentalizzato, anche se avevo ancora mal di gambe dal mondiale, che è stato durissimo. Sono stato contento per Scaroni. Purtroppo è mancata la medaglia, ma ci siamo mossi bene e abbiamo fatto vedere l’Italia. Certo, battere Pogacar è quasi impossibile ora. Però dietro a lui c’eravamo noi.
Gianmarco, oltre alla tua professionalità, hai mostrato un grande attaccamento alla maglia azzurra. Cosa significa per te?
La maglia azzurra è qualcosa che ti fa dare anche quello che non hai. Vuoi onorare la Nazione, rappresenti tutta l’Italia e anche chi non segue il ciclismo, ma si ferma vedendo il campionato del mondo e dice “Forza Italia”. L’azzurro è una responsabilità. E’ stimolo. E ho pensato: «Cavolo, quando mi ricapita?». Ma dopo queste prestazioni credo che potrò farne ancora qualcuno.
Villa cosa ti ha detto?
E’ stato molto soddisfatto. Nessuno si aspettava che potessi essere lì davanti, anche perché mi ha chiamato all’ultimo. Marco mi ha detto: «Abbiamo un problema con Pellizzari, sta male, mi dispiace chiamarti così tardi». Inizialmente non ero neanche nella lista dei cinque, che poi è diventata di otto nomi, ma a quel punto stavo male anche io. Insomma non ero proprio nei radar di Villa. Appena però mi ha chiamato, gli ho detto subito di non preoccuparsi, che sarei stato pronto.
I prossimi mondiali saranno ancora impegnativi. Questa nazionale può essere l’ossatura del futuro, con te, Frigo, Pellizzari, Bagioli…
Secondo me in Italia manca forse il campione assoluto, ma appena sotto siamo in tanti e andiamo tutti forte. Si può ben sperare. L’anno prossimo i campionati saranno in Canada, su un percorso simile a quello di Montreal. Io lì ho già corso, so cosa mi aspetta. E se Villa mi richiamerà mi farò trovare nuovamente pronto.