Hai giocato sia come centrale che come opposto. Quanto conta la versatilità nella pallavolo?

«È cambiata molto la pallavolo. Quando eravamo ragazzini ci insegnavano tutto: attaccare, palleggiare, ricevere. Dovevi saper fare un po’ di tutto. A me, per esempio, attaccare la seconda linea non ha mai creato problemi. Oggi invece le giocatrici vengono selezionate fin da piccole per un ruolo preciso. Prima il centrale doveva saper fare tutti i palloni, sia dietro che davanti, ora non serve più essere versatili. E purtroppo non si insegna più la tecnica come una volta: tanti centrali sono fortissimi, ma se devono fare un palleggio è una tragedia.»

C’è una partita che ricordi in modo particolare?

«In nazionale abbiamo vissuto un periodo particolare. Oggi la squadra sta vincendo tutto, ma ai miei tempi partivamo dal fondo delle classifiche: la nazionale femminile non aveva mai vinto niente. È servito un grande lavoro sulla continuità e sul gruppo, e ad un certo punto siamo esplose.
Non c’è una partita che ricordo più delle altre, perché dietro ogni vittoria ci sono anni di sacrifici. Per arrivare a giocare un europeo o un’Olimpiade devi prima qualificarti, vincere tornei, superare infortuni, trovare il giusto mix di squadra. Ogni semifinale, ogni finale ha la sua storia e la sua emozione.»