di
Giuseppe Sarcina

L’accordo «scozzese» ha suscitato reazioni diverse, talvolta opposte tra i diversi Paesi europei. Eppure i rappresentanti dei 27 Stati sono rimasti in stretto collegamento con la presidente della Commissione

L’accordo «scozzese» tra Donald Trump e Ursula von der Leyen ha suscitato reazioni diverse, talvolta opposte tra i diversi Paesi europei. Eppure, come ha riferito ieri il Commissario al Commercio, Maros Sefcovic, i rappresentanti dei 27 Stati sono rimasti in stretto collegamento con la presidente della Commissione, prima e dopo l’incontro con il leader della Casa Bianca. In ogni caso a Bruxelles sono giorni intensi. I funzionari della Commissione sono impegnati nel confronto con gli americani, per formalizzare l’intesa entro il primo agosto. Ma in parallelo devono tenere conto delle richieste in arrivo dalle capitali. E tentare una sintesi tra le diverse posizioni. 

L’Irlanda si aggrappa alle big tech americane

Da Dublino arriva l’appoggio più convinto all’operato della Commissione europea. Eppure l’Irlanda è il Paese più esposto al nuovo dazio, visto che, in rapporto alla sua dimensione, esporta più di tutti negli Usa: 70 miliardi di euro, alla spalle solo della Germania (161 miliardi) e prima dell’Italia (64,7). Ma il prezzo da pagare a Trump per raggiungere l’intesa è ampiamente compensato dalla «stabilizzazione» della relazione con gli Stati Uniti. Da almeno trent’anni, la crescita economica della «tigre celtica» dipende dallo stretto legame con le aziende tecnologiche e farmaceutiche. Apple, Google, Meta e poi, Pfizer, Johnson & Johnson si sono insediate in questo Paese, attirate dagli incentivi fiscali e da una burocrazia a telaio leggero. Il governo irlandese ha spinto fin dall’inizio per arrivare a un accordo che placasse Trump, praticamente a qualsiasi costo. 



















































La Spagna punta su altre rotte commerciali

Il governo Sanchez non perde occasione per marcare la distanza dall’America di Donald Trump. Da molti anni le rotte commerciali della Spagna puntano altrove. Ma ora il tema è soprattutto politico. Sanchez è uno dei fautori più convinti, insieme al francese Emmanuel Macron, del fatto che l’Unione europea abbia bisogno di accelerare sulla strada dell’«autonomia strategica». Ciò significa avviare un processo di graduale emancipazione politica, economica e militare dagli Stati Uniti. Sanchez è stato l’unico leader a opporsi all’aumento della spesa per la difesa al 5%, imposto dagli Usa. Ora non si spinge fino a quel punto, perché non ha intenzione di sabotare il lavoro della Commissione. Ma non andrà oltre un «va bene», pronunciato, ha detto Sanchez, «senza entusiasmo». 

La Germania incassa lo sconto sulle auto

La Germania è, di fatto, il perno del rapporto economico tra Unione europea e Stati Uniti. Il nuovo Cancelliere Friedrich Merz si è posto l’obiettivo di aprire subito un canale di comunicazione efficace con Donald Trump. E, nello stesso tempo, di esercitare la consueta pesante influenza sulla Commissione di Bruxelles. Alla fine la Germania incassa l’unico concreto e consistente sconto sui dazi. Il prelievo americano sull’import di auto scende dal 27,5% al 15%. E’ forse il segnale che la Casa Bianca terminerà la sua offensiva contro le macchine tedesche. Per Merz questo risultato è sufficiente per dare il via libera all’accordo e anzi per trasformarlo in una piattaforma su cui costruire un legame più stretto con gli Usa anche su altri dossier: dalla collaborazione nell’industria militare al coordinamento sull’Ucraina. Ma l’apparato produttivo tedesco guarda soprattutto all’economia. La Confindustria tedesca ha bocciato non solo il merito, ma anche il metodo con cui la Commissione ha condotto i negoziati. La Germania esporta negli Usa beni per un valore di 161 miliardi di euro, quasi un terzo dell’intero volume coperto dall’Unione europea. Sono «beni al sole» che toccano praticamente tutti i settori e tutti verranno flagellati da un prelievo del 15%. I diplomatici tedeschi stanno cercando di attenuare l’impatto, suggerendo correzioni ed emendamenti alla Commissione. 

La Svezia favorita dalle intese sui chip

In generale il blocco scandinavo è, per tradizione, allergico a ogni forma di protezionismo. Ma alla Svezia, per esempio, non dispiace come si sta profilando l’accordo con gli Stati Uniti. Stoccolma ha da tempo adottato un modello di export diverso da quello degli altri grandi Paesi. Esaurito, di fatto, il ciclo dell’automobile, gli svedesi si sono specializzati in prodotti ad alto valore aggiunto, di qualità. Sono articoli di nicchia che un segmento ristretto di consumatori americani (e non solo)dovrebbe continuare ad acquistare anche se il dazio del 15% farà aumentare il prezzo finale. Inoltre i settori digitale ed elettronico potrebbero beneficiare di un legame più stretto con i produttori statunitensi. 

La Polonia vuole altre armi made in Usa

Più o meno sulla stessa lunghezza d’onda si trovano la Polonia e i Paesi baltici. Per i polacchi è ancora più semplice accettare l’intesa: le esportazioni verso gli Usa sono pari solo a 11,6 miliardi di euro, il 12% sul totale del commercio con Stati al di fuori della Ue. Per la Polonia e il fianco Est della Ue la parola chiave è la «sicurezza militare». Varsavia, in particolare, ha accolto con favore l’impegno europeo ad acquistare ancora più armi dagli Stati Uniti. I polacchi, insieme con i baltici, sono tra i clienti migliori dell’industria militare americana. 

La Francia difende l’industria dell’energia

Il quartier generale dell’opposizione all’accordo si trova è a Parigi. Emmanuel Macron sostiene di avere tanti motivi per essere profondamente insoddisfatto. Sul piano economico non funziona nulla. Oltre al super dazio che inciderà sui 47 miliardi di esportazioni, i francesi sono contrariati dalle clausole aggiuntive. In particolare Von der Leyen ha impegnato i 27 Paesi Ue ad acquistare gas, uranio per il nucleare e petrolio dagli Stati Uniti per un importo di 250 miliardi di euro all’anno. Ma per la Francia, l’energia rappresenta il nerbo dell’identità economica. Per quale motivo una grande azienda come TotalEnergies dovrebbe modificare le sue strategie? Per fare un favore alle concorrenti americane? Per i francesi non se ne parla. Ancora più delicato l’altro passaggio, quello sulle armi. Trump ha dichiarato che gli europei «compreranno un enorme quantitativo» di mezzi e di equipaggiamenti militari «made in Usa». In realtà questa affermazione non sembra che confluirà nel protocollo, se non altro perché il tema rientra, piuttosto, nelle competenze della Nato. Tuttavia Macron ci vede, e non a torto, un’evidente contraddizione con il piano di riarmo, varato di recente dalla Commissione europea. Tra gli obiettivi di quel progetto c’è anche il rafforzamento dell’industria militare europea. Ma come si può sviluppare la collaborazione tra i diversi Paesi, se bisognerà comprare ordigni, aerei, droni dall’America? Sono le domande che stanno alimentando l’irritazione francese.

L’Olanda teme il blocco di Rotterdam

In proporzione, i Paesi Bassi sono decisamente più esposti della Francia nei confronti degli Usa. Nel 2024 le esportazioni ammontavano a 43,4 miliardi di euro, con una quota del 16,5% sul totale degli scambi con Stati al di fuori dell’Unione europea. Eppure il governo olandese non si metterà di traverso, nè proverà a sabotare l’accordo Ue-Usa. Certo, l’aumento dei dazi è un colpo anche per questo Paese. Ma l’interesse strategico degli olandesi è mantenere aperta anche la rotta transatlantica. Una guerra commerciale a oltranza con i partner americani avrebbe messo in crisi la logistica, a cominciare dal porto di Rotterdam, centro vitale dell’economia.

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29 luglio 2025