Un esperimento cominciato per caso, nato dall’incontro tra una regista, Patrizia Santangeli, e una conduttrice tv, Jane Alexander, folgorate sulla via di un bar dell’Aurelio, il Bar Eventi gestito – rigorosamente a conduzione familiare, da dodici anni – dal signor Antonio Casadidio. «Sono sempre stata affascinata dai bar. Mi piacciono quelli con una storia dietro, i bar di quartiere, più che i locali ultramoderni di design», spiega Santangeli, sarda di origine ma da trent’anni a Roma, autrice della miniserie in sei puntate Sprizzz! – Reality Bar (su Instagram e YouTube) ambientata proprio all’interno del Bar Eventi – clienti e gestori inclusi. «I bar di Roma sono dei piccoli mondi nei quali vive l’anima più profonda della città. Questo bar in particolare era perfetto, perché crocevia tra Via del Fontanile Arenato, che è la parte più borghese della zona, e la più popolare via della Pisana».

IL BALUARDO Per intervistare i clienti e il gestore si è prestata Jane Alexander, a sua volta cliente storica del bar: «Abbiamo girato tutte le puntate in un giorno, a giugno. Un po’ esperimento sociologico, un po’ divertimento per passare il tempo in compagnia. I bar sono tra gli ultimi baluardi della socialità vecchio stampo, quella che vive di persone in carne e ossa e che non ha bisogno di scrollare il cellulare per sopravvivere ai nostri tempi. Sono analogici». Il format è semplice: seduta sul divanetto nella sala del locale predisposta per gli “eventi”, Alexander rivolge ai clienti (e allo stesso Antonio) brevi domande tratte dal “Questionario di Proust”, «uno schema di domande usate nell’Ottocento per animare le chiacchiere da salotto e conoscere qualcosa in più delle persone che rispondevano. Lo stesso Proust si sottopose al questionario». LE DOMANDE Domande dirette («Di cosa hai paura?». «Cosa ti rende felice?») e risposte spontanee, registrate “sporche”, cioè con la naturalezza degli inciampi e dei ripensamenti del parlare comune. Dall’impiegato alla casalinga, dal pensionato al genitore, nelle risposte passa tutta l’umanità del quartiere: «Ma alla domanda “chi sono i tuoi eroi”», spiega Santangeli, «quasi tutti hanno risposto la stessa cosa: “i miei genitori”».
Quanto ad Antonio, convinto a partecipare al progetto dalla famiglia, «Sono orgoglioso che abbiano scelto questo bar, perché è davvero particolare. Prima di lavorare qui ho avuto due trattorie e un bar a Cinecittà, e lavoravo con clienti diciamo “classici” di passaggio, Qui è diverso: è un bar di quartiere, è come un’oasi. Se chiudesse, non ci sarebbe più niente a dare vita a queste strade. Siamo un po’ come uno stabilimento balneare, con gli ombrelloni e le chiaccghiere della gente. Ci manca solo il mare». IL SENSO Il senso del progetto del relaity Bar, che in autunno potrebbe avere una seconda stagione, girata sempre all’Aurelio, per poi allargarsi anche ad altri bar di Roma, la spiega benissimo lui: «Rispetto all’altro bar, a Cinecittà, qui la gente non sta in giacca e cravatta. La domenica è come stare a pranzo con i parenti, ti bevi un bicchiere di vino e stai in compagnia. Per me se prendi un caffè e vuoi stare seduto tre ore non c’è problema: spoazio ce n’è per tutti. L’impressione è quella di stare in famiglia».

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