Indagine congiunta del servizio Stato Sociale e del servizio Coesione e Territorio
della Uil su strutture e risorse dei consultori familiariIvana Veronese e Santo Biondo, segretari confederali della Uil:
“Mancano 810 consultori per rispettare i parametri di legge”.“In dieci anni ne sono stati chiusi 258. Quelli che resistono,
ricevono solo 1% del budget assegnato all’assistenza distrettuale”
I consultori, in Italia, non hanno strutture sufficienti e risorse adeguate a svolgere il proprio ruolo strategico di prevenzione, educazione sanitaria e sostegno psico-sociale. A lanciare l’allarme è l’indagine della Uil sulla capillarità del sistema dei consultori e sulle risorse a loro disposizione, che ha preso in esame i dati del Ministero della Salute (Annuario Statistico del Servizio Sanitario Nazionale), dell’Istat e dei Rendiconti consuntivi 2023 di 92 Aziende Sanitarie Locali (ASL), su un totale di 103. In particolare, per quest’ultimi è stata considerata la spesa di quel 51% del Fondo del servizio sanitario nazionale destinato all’assistenza distrettuale che comprende, appunto, il funzionamento dei consultori (il restante 44% viene destinato all’assistenza ospedaliera e il 5% alla prevenzione collettiva e alla sanità pubblica).
Dalla consultazione di queste fonti è emerso che dal 2014 al 2023, in Italia, sono state chiuse ben 258 strutture, 21 solo nel 2023. A questa data, dunque, risultavano attivi 2.140 consultori, in pratica 1 ogni 27.569 abitanti: un rapporto decisamente al di sotto dello standard di riferimento di 1 consultorio ogni 20.000 abitanti, fissato dalla legge n. 34/1996. Pertanto, ci sono 810 consultori in meno (pari a -27,5%) rispetto ai 2.950 necessari.
A livello regionale, al 31 dicembre 2023, il rapporto minimo tra numero di strutture e abitanti era garantito soltanto in 5 Regioni (Val d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Emilia-Romagna, Umbria, Basilicata). Nello specifico, i rapporti più alti, e quindi più sfavorevoli, tra numero di consultori e popolazione sono stati registrati in Campania (1 consultorio ogni 47.538 abitanti) in Lombardia (1 consultorio ogni 43.566 abitanti) in Molise (1 consultorio ogni 41.519 abitanti), nel Lazio (1 consultorio ogni 38.137 abitanti) e in Friuli-Venezia Giulia (con 1 consultorio ogni 35.125 abitanti). Sempre a livello regionale, dal 2014 al 2023, sono stati chiusi più consultori in valori assoluti (dunque senza considerare il rapporto con la popolazione), in Toscana (67 consultori); in Veneto (64); in Campania (39); in Piemonte (36); in Liguria e nel Lazio (30).
Tuttavia, non solo le strutture mancano o vengono chiuse, ma per quelle che resistono ci sono poche risorse. Infatti, le Aziende Sanitarie Locali destinano ai consultori, in media, solo l’1% del budget assegnato all’assistenza distrettuale (poco più di 641 milioni di euro) con significative differenze territoriali. Per il funzionamento dei consultori nella Provincia autonoma di Trento, ad esempio, si destina il 2% del budget previsto per l’assistenza distrettuale; in Friuli-Venezia Giulia l’1,83%; in Calabria l’1,77%; mentre in Umbria si destina soltanto lo 0,42% del budget previsto per l’assistenza distrettuale; in Lombardia lo 0,47%; in Piemonte lo 0,61%.
“I dati raccontano con chiarezza che il nostro sistema dei consultori è sottodimensionato, sotto-finanziato e, troppo spesso, lasciato solo. Fin dalla loro istituzione, con la storica legge n. 833 del 1978 sul Servizio Sanitario Nazionale, i consultori familiari sono stati uno snodo essenziale del welfare pubblico, non solo per la salute della donna e la sua autodeterminazione – hanno sottolineato Biondo e Veronese – ma per l’intero sistema di prossimità. Sono strumenti preziosi di prevenzione, educazione e inclusione, radicati nella comunità e capaci di leggere i bisogni complessi dei territori. Accompagnano le famiglie, sostengono la genitorialità e i minori, forniscono assistenza alle persone migranti per la tutela della loro salute fisica e psicologica, e promuovono l’integrazione sociale e sanitaria. Depotenziarli – hanno rimarcato i due segretari della Uil – significa indebolire la sanità pubblica e mettere a rischio i diritti fondamentali delle persone. Serve, dunque, con urgenza, un incremento del Fondo Sanitario Nazionale adeguato al rapporto spesa sanitaria/PIL dei Paesi Europei più industrializzati che sia vincolato, in parte, all’aumento delle risorse per il funzionamento dei consultori. Ma non solo: bisogna anche rivedere i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) per macroaree e introdurre, accanto ai LEPS di servizio, i LEPS di personale. Veri e propri standard minimi di staffing, che stabiliscano rapporti tra operatore e utenti inderogabili. È l’unico modo per garantire diritti effettivi e prevenire quella spirale di burnout che oggi – hanno spiegato Biondo e Veronese – spinge molti professionisti ad abbandonare il settore. A ciò, va aggiunto un piano straordinario di stabilizzazione del lavoro precario e un investimento serio nella formazione continua, da finanziare strutturalmente, affinché le competenze possano stare al passo con l’evoluzione dei bisogni sanitari e sociali. Inoltre, non è più rinviabile la piena attuazione del DM77 che, ad oggi, vede ancora in dubbio l’apertura delle Case di Comunità, previste dalla Missione 6 del Pnrr. Sono strutture fondamentali per garantire la prossimità delle cure e l’integrazione sociosanitaria, ma a fronte delle 1.723 Case di Comunità previste dal Piano, solo 46 (appena il 2,7%) risultano oggi pienamente operative. Serve uno Stato sociale più efficiente e con più risorse, di cui i consultori siano parte integrante, per assicurare la presa in carico multidimensionale dei bisogni delle persone e delle famiglie affinché – hanno concluso i due segretari – i diritti sociali non siano soltanto enunciati, senza essere davvero esigibili”.