Il Consiglio di stato: il decreto governativo non garantisce gli standard sanitari dentro ai CPR

08 Ottobre 2025

Articolo di Redazione

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Il Consiglio di stato cassa il Viminale, annullandone parzialmente il decreto emesso nel marzo 2024 nella parte in cui si approvava uno schema di capitolato d’appalto per la gestione e il funzionamento dei CPR, i Centri per il rimpatrio. In questi, secondo quanto stabilito dalla sentenza pubblicata ieri, non è di fatto garantito un livello di assistenza sanitaria adeguato.

Tutto nasce da un ricorso ASGI e Cittadinanzattiva da tempo impegnate a denunciare la violazione dei diritti che avviene nei centri di detenzione per persone migranti. Nel ricorso cui fa riferimento il Consiglio di stato le due realtà specificano come l’assistenza sanitaria, le spese mediche e il personale siano del tutto inadeguate.

Un’inadeguatezza riconosciuta che, facendo capo allo schema di capitolato d’appalto, di fatto sottolinea come sia lo stesso schema a far sì che non si possano garantire dei livelli minimi nella tutela del diritto alla salute e nel (cosa assai frequente) rischio suicidario che il sistema dovrebbe invece prevenire con dei protocolli che invece mancano.

La sentenza del Consiglio di stato – che ha come effetto immediato l’annullamento di quella parte del decreto che ha a che fare con gli appalti di gestione dei soggetti privati – mette in discussione tutta una serie di affidamenti già avvenuti nei CPR, che a oggi sono dunque privi di una legittimità nel procedere.

Di fatti nella sentenza i giudici hanno sottolineato un’anomalia non di poco conto: nel delicato contesto della definizione di questo ambito sanitario all’interno dei CPR, non risultano coinvolti né il ministero della Salute né il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, “soggetti istituzionalmente deputati alla tutela della salute e, in generale, alla tutela dei soggetti in condizione di detenzione”.

Un fatto grave, soprattutto alla luce di un fatto noto e cioè che spesso dentro i CPR finiscono persone che hanno una vulnerabilità psichiatrica legata alle proprie storie di migrazione, e che sono sottoposte a trattamenti farmacologici particolari proprio per la loro salute mentale.

Una realtà più volte emersa nei report italiani ed europei sui CPR, in cui viene documentata una somministrazione di psicofarmaci assai diffusa, non supportata da assistenza psicologica e psichiatrica, spesso inesistente.    

Lo scorso luglio anche la Corte costituzionale aveva stabilito che i Centri per il rimpatrio ledono i diritti fondamentali legati alla libertà e dignità personale dei migranti, evidenziando un vuoto normativo.

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