Dopo 42 anni di battaglie, dubbi e silenzi, Pietro Orlandi è tornato davanti alla Commissione parlamentare che indaga sulla scomparsa della sorella Emanuela e di Mirella Gregori. Due ore e mezza di audizione per ripercorrere una vicenda ancora piena di ombre, tra accuse al Vaticano, documenti controversi e nuovi appelli alla verità. Durante l’audizione a Palazzo San Macuto, Orlandi ha ribadito la sua convinzione che le due scomparse – seppur coeve – siano molto diverse: “La Commissione risolverà sicuramente il caso di Mirella, lì il Vaticano non c’entra. Per Emanuela, invece, la strada è più complessa, perché porta dentro le mura vaticane”. Pietro ha chiesto ancora una volta di incontrare il Papa e ha criticato il suo silenzio nel recente anniversario della sparizione, definendolo “un brutto segnale”.

La pista inglese e i documenti da approfondire 

Ampio spazio è stato dedicato alla cosiddetta pista di Londra, legata a cinque lettere che ipotizzano una prigionia di Emanuela nel Regno Unito fino al 1997, in un edificio dei padri Scalabriniani. Lettere inviate — secondo quanto riferito — da personalità britanniche al Vaticano, ma bollate come false dalla grafologa Sara Cordella. Orlandi, tuttavia, insiste: “Anche se fossero un depistaggio, andrebbero comunque analizzate. I depistaggi fanno parte di questa storia e hanno sempre allontanato dalla verità”. Ha inoltre ricordato la figura di Raffaella Monzi, amica e forse ultima persona ad aver visto Emanuela viva, e ha parlato dei contatti con l’ambasciata inglese e delle richieste per accedere ai diari dell’ex presidente Ciampi, considerati potenzialmente rilevanti. In conclusione, ha lanciato una riflessione sui legami tra potere ecclesiastico e responsabilità individuali: “Spoglio ogni persona del ruolo che ricopre. Nessuna divisa rende intoccabili. Gli esseri umani sono tutti uguali”.

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