Il carcere di Mariefred si trova a poco più di un’ora da Stoccolma, a qualche chilometro dal centro dell’omonima cittadina, una località tranquilla affacciata sul lago Mälaren e con un ritmo di vita piuttosto lento. Il carcere è composto da più edifici separati, bassi, disposti lungo vialetti ordinati, con spazi verdi ben curati. Non ci sono torri di guardia né recinzioni visibili dalla strada.

Per chi arriva dall’Italia, l’aspetto può colpire per la sua sobrietà e per l’assenza di sbarre alle finestre, alte mura di cemento, cancelli blindati e altri elementi tipici dell’immaginario oppressivo delle carceri italiane e di altri paesi europei.

Come altri paesi del Nord Europa, la Svezia ha un sistema carcerario molto più centrato sulla riabilitazione e sul rispetto della dignità dei detenuti. Viene spesso citato come esempio virtuoso di approccio meno punitivo dagli esperti di diritto, mentre altre volte le condizioni più confortevoli rispetto alla media vengono sottolineate come un tratto eccessivamente permissivo. Il carcere norvegese in cui è detenuto Anders Breivik, responsabile della strage di Utøya, venne definito «a cinque stelle» dai giornali italiani.

Una vista dall’altro del carcere di Mariefred (Anstalten Mariefred)

Entrando a Mariefred è facile imbattersi nella scritta Bättre ut, «uscirne migliori», presente su muri, cartelli, materiali informativi e negli spazi comuni. È il motto ufficiale del sistema penitenziario svedese.

In Svezia e più in generale nei paesi nordici l’obiettivo è soprattutto aiutare le persone detenute a trovare o ritrovare un posto nella società: il sistema carcerario insomma è stato costruito come un’estensione del già ampio welfare statale presente in questi paesi. L’idea che in carcere una persona possa essere aiutata e cambiare vita è ormai radicata, e le istituzioni sono abituate a lavorare in quella direzione. Dice Annika Wulff, responsabile dei rapporti con i detenuti del carcere: «Il nostro obiettivo è che una persona, una volta uscita dalla struttura, sia in una condizione migliore rispetto a quando è entrata».

(Anstalten Mariefred)

Un’altra consuetudine molto diffusa tra chi lavora nel carcere è riferirsi ai detenuti come klient, cioè clienti. Wulff dice che il sistema penitenziario svedese adotta questa norma linguistica per rendere la detenzione «meno stigmatizzante».

Il carcere di Mariefred è gestito dal Kriminalvården, l’Agenzia svedese per i servizi penitenziari e di reinserimento. È stato costruito nel 1958 per ospitare un massimo di 80 detenuti. Oggi ne accoglie 144, suddivisi in sei reparti: quattro da venti posti ciascuno e due da trentadue, realizzati nel 1994, in cui le stanze sono condivise da due persone. Negli altri quattro reparti, invece, le sistemazioni sono individuali. La struttura dispone anche di sei celle per l’isolamento temporaneo.

Le celle sono semplici ma curate: un letto in legno chiaro, scaffalature aperte, una scrivania, una sedia, una piccola televisione e una finestra ampia con grate interne. L’ambiente è luminoso, ordinato, privo di elementi oppressivi o barriere visive marcate. Le docce, invece, sono in comune, collocate in spazi condivisi all’interno di ciascun reparto.

Una cella singola del carcere di Mariefred (Anstalten Mariefred)

In Svezia in realtà i detenuti che vivono in un carcere come quello di Mariefred sono solo una piccola parte del totale. L’Agenzia svedese per i servizi penitenziari gestisce circa 16.300 persone con misure alternative alla detenzione, 7.750 nelle carceri e 3.345 in custodia cautelare. È un dato che racconta bene la filosofia del sistema, e che si riflette nella gestione quotidiana di strutture come Mariefred.

Dal punto di vista giuridico Mariefred è classificato come carcere di categoria due, cioè di media sicurezza. In Svezia il sistema penitenziario è suddiviso in tre livelli, sulla base di una valutazione individuale del rischio. La categoria uno è la più restrittiva: ospita persone condannate per reati molto gravi, come omicidi o stupri, spesso con pene lunghe e un alto rischio di recidiva o evasione. A Mariefred invece ci sono detenuti (tutti uomini) condannati per reati come traffico di droga, aggressioni e furti, ritenuti compatibili con un contesto meno rigido.

«Sono persone che hanno alle spalle storie difficili, spesso legate alla dipendenza da sostanze o a situazioni di esclusione sociale», spiega Wulff. Circa il 70 per cento degli uomini detenuti ha avuto o ha ancora problemi legati alle dipendenze da alcol o dalle droghe, mentre il 75 per cento era senza lavoro o ne aveva uno in nero al momento dell’arresto.

Molti hanno attraversato anche forme di fragilità psichica: il 30 per cento ha ricevuto assistenza psichiatrica in forma ambulatoriale. L’età media è di 34 anni.

Tra le attività proposte ai detenuti, un ruolo centrale è occupato dal lavoro. All’interno del carcere è attivo un laboratorio di falegnameria. È un’officina ben attrezzata, dove si producono arredi e altri manufatti in legno che poi vengono venduti a scuole e uffici pubblici. Per lavorarci i detenuti ricevono uno stipendio mensile di circa 1.000 euro (piuttosto basso, in realtà: in Svezia lo stipendio medio è di circa 3.400 euro).

Il laboratorio di falegnameria (Anstalten Mariefred)

«È un vero impiego: ognuno ha un ruolo, degli orari da rispettare, dei compiti precisi», spiega comunque Wulff. Oltre al lavoro in falegnameria o in altri luoghi il programma giornaliero prevede corsi scolastici o di formazione professionale, e percorsi di riabilitazione personalizzati. «C’è una routine molto regolare, che alterna momenti di attività a pause, tempo all’aperto e momenti di socialità controllata», dice Wulff. L’obiettivo è creare un ritmo di vita il più possibile simile a quello esterno.

Uno dei padiglioni è dedicato alle attività ricreative. Dopo la fine del proprio turno di lavoro, i detenuti possono giocare a scacchi, fare una partita a ping pong, lavorare con la ceramica. C’è anche chi si trattiene nei laboratori di falegnameria per costruire dei giocattoli rudimentali da regalare ai propri figli, o un mobile da spedire a casa.

La sala ricreativa e una scacchiera a disposizione nella stanza (Anstalten Mariefred)

La giornata inizia alle 7 del mattino, con l’apertura delle stanze e la colazione. Dalle 8:20 alle 11:10 si tengono le attività: scuola, lavoro o percorsi riabilitativi. Dopo il pranzo, le persone detenute trascorrono un’ora all’aperto nel cortile interno, seguita da un breve momento di tempo libero individuale. Le attività riprendono nel pomeriggio fino alle 15:50, poi di nuovo tempo per sé e per cenare. Le celle-stanze vengono chiuse alle 19.

Una parte della struttura è dedicata ai rapporti familiari, con stanze per gli incontri affettivi, ossia momenti in cui i detenuti possono avere rapporti intimi con i loro partner, in uno spazio riservato e non sorvegliato.

Per le visite dei figli l’attenzione è ancora maggiore. «Quando i bambini entrano, non devono capire che si trovano in un carcere», spiega Wulff. È questa la regola che guida l’organizzazione degli ambienti: ci sono giochi, libri, una piccola cucina, arredi semplici ma familiari. Per rispetto dell’intimità di queste situazioni, ai giornalisti non è consentito fotografare gli spazi.

Nel carcere ci sono anche luoghi dedicati alla preghiera, accessibili in base al credo religioso dei detenuti. «Riconoscere il diritto alla spiritualità fa parte della nostra visione del carcere come luogo di passaggio», dice Wulff.

La cappella del carcere, dove ogni domenica viene celebrata la messa (Anstalten Mariefred)

Pur restando uno dei modelli penitenziari più avanzati d’Europa, anche il sistema svedese sta comunque attraversando una fase di difficoltà. L’aumento della popolazione detenuta — in parte legato all’aumento delle pene per reati connessi alla criminalità organizzata — ha portato a un forte sovraffollamento, con tassi di occupazione che in alcune strutture hanno superato il 140 per cento, anche se rimangono più contenuti rispetto a quelli italiani (e in spazi decisamente migliori).

Per alleggerire la pressione le autorità hanno avviato trattative con l’Estonia per affittare centinaia di posti nelle sue carceri. A questo si aggiunge una carenza di personale, che rende più difficile garantire a tutti l’accesso ai programmi individuali, da sempre uno degli elementi centrali della filosofia penitenziaria svedese.

Stabilire quanto un sistema penitenziario funzioni non è semplice, ma in Svezia i dati sono incoraggianti.

Circa il 30 per cento degli ex detenuti torna a delinquere entro tre anni dalla scarcerazione. Il rischio aumenta con il numero di precedenti, ma rimane generalmente inferiore rispetto agli altri paesi europei. Per esempio, in Francia il tasso di recidiva entro tre anni è del 48 per cento. In Italia si calcola che circa il 68,7 per cento degli ex detenuti torna a delinquere nel corso della propria vita, una volta tornato in libertà.

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