Da due anni la guerra a Gaza sta rimodellando il Medio Oriente: Israele si conferma come una potenza regionale, la Turchia accresce notevolmente la propria influenza anche nella Siria del dopo Assad e, grazie a Trump, ha voce in capitolo anche a Gaza, mentre l’Iran ha perso ogni influenza e capacità di deterrenza. Al coinvolgimento di Ankara in un futuro post guerra a Gaza, voluto da Trump, si oppone Israele, molto preoccupata dal ruolo di dominus di Erdoğan in Siria. A Sharm el-Sheikh è presente il capo dello spionaggio turco, e ciò dimostra la crescente influenza di Ankara nella diplomazia di Gaza. La Turchia, come il Qatar, ospita membri della leadership politica di Hamas. Trump lo sa bene, e per questo si è sempre più rivolto anche a Erdoğan per la questione della Striscia.

In una delle sue ultime dichiarazioni, il presidente degli Usa ha detto: “Erdoğan è fantastico, ha insistito molto per raggiungere questo accordo. È un uomo molto potente, Hamas nutre molto rispetto per lui”. Ankara infatti ha svolto un ruolo fondamentale nel convincere l’ala politica di Hamas ad accettare il negoziato sul piano di pace, e Donald lo ha ricompensato promettendogli che avrà un ruolo nel post guerra a Gaza, il suo impegno per convincere il Congresso a ritirare le sanzioni CAATSA sul settore della difesa turca e la chiusura della controversia che ha visto un tribunale di New York condannare la maggiore banca statale turca, accusata di aver aiutato Teheran ad aggirare le sanzioni inflitte all’Iran.

Israele è preoccupata per il sostegno anche militare che Ankara sta fornendo al presidente ad interim in Siria, al-Sharaa, considerato da Gerusalemme una minaccia per il suo passato jihadista e qaedista. Ma la ritrovata armonia tra Washington e Ankara sta alimentando la speranza di poter fare pressione su Hamas affinché accetti definitivamente le condizioni del piano Trump. Per lungo tempo Turchia e Israele sono stati amici nel settore militare e del commercio, ideologicamente distanti, ma mai nemici sul campo.

Ma ora il Medio Oriente si sta rimodellando. Mentre l’”anello di fuoco” regionale a guida iraniana con la sua rete di proxy di Teheran è stato quasi del tutto rotto, l’influenza dell’Iran si è spenta ed è emersa con maggiore forza la coalizione araba e musulmana sostenuta dagli Stati Uniti, che include regimi di ispirazione islamista, compresi Turchia, Qatar e Siria. Dal punto di vista di Israele, questo spostamento rappresenta un asset positivo. La nuova coalizione infatti non minaccia l’esistenza dello Stato ebraico, e alcuni membri mantengono solidi legami commerciali e diplomatici. La Siria è sì frammentata e debole, ma è in corso un dialogo per la normalizzazione dei rapporti tra Damasco e Gerusalemme; il Qatar è una potenza economica ma non militare, e la Turchia – membro della Nato – gode di buoni rapporti con Trump.

Washington, con il suo inviato speciale in Siria e ambasciatore statunitense ad Ankara, Tom Barrack, sta lavorando molto per il disgelo tra Turchia e Israele. Alcuni media israeliani hanno recentemente riportato la notizia secondo cui la Turkish Airlines stava valutando la possibilità di ripristinare i voli verso Israele dopo due anni di interruzione a causa dell’offensiva a Gaza. “La Turchia è la versione armata e potente del Qatar”, sostengono alcuni membri del governo israeliano. Mentre il Qatar sta rafforzando la sua influenza attraverso il denaro e il potere economico, la Turchia lo fa espandendo la sua potenza militare in tutto il Medio Oriente attraverso la sua potenza militare, nonché attraverso la creatività e la determinazione di Erdoğan e Fidan.

Ankara mira a un controllo quasi totale della Siria; lavora per creare basi, leve di influenza e avamposti in tutta la regione, dalla Libia alla Siria e oltre. A Gerusalemme vi è la convinzione dell’ambizione di Erdoğan di diventare la potenza più importante e influente in Medio Oriente, che certamente contrasta un’eventuale presenza dell’Iran, ma la presenza turca è considerata competitiva da Israele. Tuttavia, la vicinanza tra Erdoğan e Trump si sta rivelando vantaggiosa per Israele. L’inviato statunitense ad Ankara, Barrack, ha avuto un ruolo determinante nel promuovere un accordo di de-escalation tra Israele e Siria che includa sia il governo di transizione sia le due principali minoranze siriane, i drusi e i curdi. Barrack ha recentemente espresso il suo sostegno al “pensiero turco su un’architettura di sicurezza regionale”, sottolineando il ruolo di Ankara come punto di riferimento cruciale per la stabilità regionale.

Ora Israele spera che le potenze regionali islamiste, Turchia e Qatar, possano aiutarla a uscire dalla palude di Gaza. Questo potrebbe persino comportare l’espulsione definitiva e completa da Ankara, da Istanbul e da Doha di tutti gli alti funzionari di Hamas.

Mariano Giustino