L’intervista

Il filosofo sarà questa sera (9 ottobre) al Dim di Castelnuovo del Garda a presentare il suo libro: un ritratto dedicato al pittore olandese




Massimo Cacciari e l'opera di Van Gogh «Campo di grano con volo di corvi», 1890


Massimo Cacciari e l’opera di Van Gogh «Campo di grano con volo di corvi», 1890




Massimo Cacciari e l'opera di Van Gogh «Campo di grano con volo di corvi», 1890


Massimo Cacciari e l’opera di Van Gogh «Campo di grano con volo di corvi», 1890

«Nessuno come Van Gogh ha visto la tragica letizia del colore, l’immortalità della cosa nell’estremo della sua facies patibilis, la sua eternità in uno con la sua natura terrestre. Solo nutrendosi di essa il nostro esserci può credersi indistruttibile». Sono le parole di Massimo Cacciari nell’Avvertenza del suo libro «Van Gogh. Per un autoritratto» (Morcelliana): una lettura della straordinaria opera dell’artista olandese alla luce delle «categorie» filosofiche, che regala un viaggio attraverso i simboli, i paesaggi, gli autoritratti, gli oggetti dipinti, i colori di uno dei pittori più amati, commentata dal filosofo e illustrata con ampio apparato di immagini. E proprio con questo suo libro, Cacciari sarà il primo ospite della rassegna Dim Incontra, organizzata da Fondazione Aida e dal Comune di Castelnuovo del Garda: stasera alle 21 sarà al teatro Dim in dialogo con Chiara Trotti.

Questo di Cacciari è un libro intenso, capace di coniugare rigore filosofico e sensibilità artistica, che riflette sull’essenza dell’arte, sul genio creativo e sull’inquietudine interiore che attraversa l’intera produzione di Van Gogh, in un dialogo tra pensiero e immagine, parola e colore.

Lo sguardo del filosofo e l’operare dell’artista. Professore, che cosa hanno in comune?

La filosofia interpreta i linguaggi, la pittura è uno dei linguaggi dell’arte, che alla filosofia offre un territorio in cui muoversi. Del resto questo, diciamo, interesse per l’arte figurativa mi accompagna da tempo: i linguaggi sono letture dell’esistenza.

Lei dice che Van Gogh è una presenza straordinaria, nel senso di unica, differente, nel quadro dell’arte moderna e contemporanea. In che senso?

Van Gogh è quasi sempre assimilato alle tendenze fondamentali dell’arte contemporanea, ma in realtà è un’assoluta eccezione. Una presenza solitaria, unica. Non inquadrabile in nessuna corrente pittorica. Perché Vincent Van Gogh prima ancora di dipingere si interroga sul significato dell’esistenza, del proprio essere nel mondo e dell’incapacità di aderirne. Tutta l’arte moderna tende all’astrattismo nelle sue correnti fondamentali: significa una radicale messa in dubbio della cosa in sè. Accade sia nella prospettiva neo espressionista che nell’astrattismo di Mondrian, ma era così anche nell’impressionismo. Tutto al contrario Van Gogh vuole entrare a far parte della cosa, prova passione per la cosa. La realtà insomma non è un prodotto della sua immaginazione o delle sue impressioni. Un sole è veramente un sole, ha una consistenza solare che si vede in alcune delle sue opere, in certi grandi paesaggi, pensiamo ai cieli costellati di astri, galassie, ebbene questa realtà è vista sotto l’aspetto dell’eternità e nello stesso tempo è compatita dall’autore. Gli impressionisti nella natura vedono il proprio modo di percepirla. Soltanto Van Gogh ha questa vera empatia con la cosa.

Forma e colori: che cosa dicono in Van Gogh?

Quella di Van Gogh è pittura della dissonanza. Sia il colore che le forme non sono mai composti, ma tormentati. In lui non c’è nessuna teoria dei colori volta a stabilirne l’armonicità, c’è invece il contrasto netto, radicale a volte, tra colore caldo e freddo.

C’è un quadro emblematico di tutto questo?

Forse qualche cielo di notte dove si vede che tutto il cosmo è tormento e nello stesso tempo energia che si ricrea. La cosa si origina e si trasforma sempre nel tormento.