di
Vera Martinella
La nuova puntata del podcast «Prima, durante, dopo. Prevenire, affrontare, superare il cancro» è dedicata al tumore alla prostata, destinato a superare quello al seno nella classifica dei più diffusi in Italia. I consigli degli esperti sui segnali da cogliere e gli esami da fare per prevenire questo tipo di cancro
Immaginatevi di riempire per ben sei volte lo stadio Olimpico di Roma. Oppure lo Juventus Stadium a Torino gremito fino all’ultimo posto per 12 volte: 485mila persone in totale. Tanti sono gli uomini italiani vivi dopo aver ricevuto una diagnosi di tumore alla prostata. Più dell’intera popolazione di Bologna (391mila persone, secondo i dati ISTAT 2024), un po’ meno di quella di Genova (563mila). E i numeri sono destinati a crescere tanto che il cancro alla prostata supererà quello al seno nella triste classifica dei più diffusi, come annunciato poche settimane fa in Inghilterra.
C’è però anche una notizia confortante: la mortalità per questa neoplasia è in calo da anni per merito dei successi ottenuti su più fronti: «Primo, nella diagnosi precoce, che hanno permesso di scoprire la grande maggioranza dei casi in stadio iniziale, quando le probabilità di guarire sono altissime: infatti il 91% dei pazienti è vivo 5 anni dopo la diagnosi – spiega Marco Maruzzo, direttore dell’Oncologia 3 all’Istituto Oncologico Veneto di Padova -. Secondo, grazie alle tante nuove terapie che sono arrivate per il carcinoma prostatico in stadio avanzato o metastatico, che consentono di vivere anche un decennio o più con la neoplasia».
A dimostrarlo è la storia di Marcello Cicalini, un musicista di 69 anni che ha scoperto di avere questa neoplasia (la più frequente tra i maschi di età superiore ai 50 anni, arrivando a interessare un italiano su otto) quando era in uno stato già molto avanzato.
È lui stesso a raccontarlo nel nuovo episodio della serie podcast «Prima, durante, dopo. Prevenire, affrontare, superare il cancro», una serie del Corriere della Sera, in collaborazione con Aiom, l’Associazione italiana di oncologia medica.
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Fortunatamente oggi in Italia il 90% dei tumori alla prostata viene individuato ai primi stadi, quando il carcinoma è localizzato e non ha ancora dato metastasi. «Con la sempre maggiore diffusione del test del Psa è cresciuta la quota di diagnosi precoci – dice Maruzzo -: è un semplice esame del sangue i cui esiti, però, vanno sempre attentamente valutati insieme a un medico». Il test del PSA è di semplice esecuzione perché avviene tramite un normale prelievo di sangue (che misura l’antigene prostatico specifico) e viene oggi consigliato agli uomini a partire dai 50 anni. Chi ha diversi casi di cancro in famiglia, però, dovrebbe cominciare prima, già dai 40. Tenendo comunque presente che valori elevati di Psa non indicano obbligatoriamente la presenza di un tumore, bensì che qualcosa non va a livello prostatico: può trattarsi di un’infiammazione (prostatite), di aumento del volume della ghiandola (ipertrofia) o di altre patologie benigne.
Insieme al test, bene sarebbe non trascurare i possibili sintomi e parlare con un medico in caso di disturbi quali: difficoltà a iniziare la minzione, flusso urinario debole, necessità di spingere durante la minzione, incompleto svuotamento della vescica, elevata frequenza delle minzioni, urgenza di svuotare la vescica e presenza di minzioni notturne. Avvisaglie tipiche anche di infiammazioni e ipertrofia.
È proprio questo uno dei messaggi più forti che Marcello vuole lanciare, raccontando la sua storia: «Il silenzio e la strategia del rinvio sono errori da non commettere. Il mio consiglio a tutti gli uomini è lo stesso che ho dato a mio figlio, che ha 45 anni: fare gli esami, fare la visita con l’urologo una volta l’anno, anche se non hanno dei sintomi particolari. Prevenire è sempre meglio. Io sfortunatamente non l’ho fatto, perché nessuno me l’ha detto o non mi sono interessato, non lo so. O perché stavo bene. Però, sinceramente, se l’avessi fatto e non mi sarei ritrovato questa situazione».
Contro il tumore alla prostata sono stati fatti tanti progressi perché oggi ci sono a disposizione molte terapie efficaci: chirurgia, radioterapia, moltissimi farmaci vecchi (ma ancora validi) e nuovi e, per chi ha una neoplasia ai primi stadi e poco aggressiva, c’è anche la sorveglianza attiva.
Anche per chi come Marcello ha una malattia metastatica oggi le prospettive sono molto migliorate.
Un’offerta vasta comporta anche un panorama complesso e dover fare diverse scelte, che tengano conto pure dei desideri dell’uomo, della sua qualità di vita. «Innanzitutto bisogna distinguere fra chi è metastatico fin dalla diagnosi, che ha quindi una neoplasia più aggressiva, e quei malati che invece arrivano alle fasi più avanzate col passare del tempo – conclude Maruzzo -. Un tempo che è lungo diversi anni e che può essere prolungato in entrambi i casi».
9 ottobre 2025 ( modifica il 9 ottobre 2025 | 09:29)
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