Nelle parole di Carlo Verdone torna spesso l’amore per Roma, un amore ferito ma mai tradito. «Sai dove la ritrovo, la mia Roma? Purtroppo, è triste dirlo, ma sarò sincero: quando finiscono le riprese, di notte, magari alle due o alle due e mezza, torno a casa — perché il nuovo film A scuola di seduzione è praticamente quasi tutto notturno — e vedo la città finalmente come deve essere: senza auto, senza niente, una poesia. Ma una poesia anche a San Giovanni, anche al Tuscolano. Tutto ha una sua poesia, anche le zone che durante la giornata, col traffico, con le cose, sono meno belle, caotiche. Vedi un sacco di magagne, ma di notte le magagne spariscono magicamente, e respiri».
Carlo Verdone conosce ogni angolo della Capitale, dal centro alle borgate, e non smette di inseguire tracce di quella romanità che il tempo ha eroso: «Devi andare in pochi quartieri dove ancora riesci a trovare qualche elemento che sopravvive. Mi riferisco a Testaccio, mi riferisco a — dico qualcosa – a Trastevere, piazza San Cosimato. Per il resto è tutto cambiato. Non è più come prima. Credo che ognuno di noi — e mi ci metto pure io — ormai abbia la testa sul cellulare. Non ci si guarda più in faccia, ognuno è isolato, con lo sguardo sullo schermo, ipnotizzato».
Eppure, ogni volta che passa da via Garibaldi, la memoria corre a Un sacco bello: «Quella era una grande Roma, una grande Trastevere, c’era veramente tanta poesia. Io sono molto affezionato a Trastevere, ma sono anche molto affezionato a Monteverde Vecchio. Sono affezionato all’Aventino, dove sto girando ora, dove ci sono i polmoni verdi. È finita già dalla fine degli anni Ottanta, quando sono stati mandati via tutti gli abitanti dei quartieri popolari storici e sono stati mandati in periferia. E quindi sono diventati tutti appartamenti per stranieri, appartamenti di funzionari. Va benissimo, tutto, però l’anima si è persa: quell’anima romana del “parlamose da finestra a finestra”, del chiacchiericcio, di quel teatro popolare, non c’è più».