La differenza la fa una congiunzione. Un «ma» che lascia porte aperte all’interpretazione del titolo del nuovo album di Annalisa che arriva dopo l’infilata di tormentoni del precedente disco che l’ha messa in primo piano nel panorama pop.
«Ma io sono fuoco» è il suo modo di rispondere a chi diceva «Annalisa è fredda»?
«No, non ci avevo pensato. Quel “ma” indica una reazione a qualcosa
che accade, magari anche non gradito, che può diventare opportunità. C’è un legame con il disco precedente “E poi siamo finiti nel vortice”: lì raccontavo il lasciarsi andare, qui invece c’è la voglia di essere parte attiva in questi giri della vita, provare a trasformare in buono quello che non lo è. Il fuoco poi è trasformazione».
In copertina oltre alle fiamme c’è anche una tigre che spunta da dietro il letto su cui lei è distesa…
«La tigre ha un duplice significato. Dà forma ai miei pensieri che non mi lasciano dormire, di notte sono attiva, mi si schiariscono le idee. E poi c’è un riferimento a Borges che mi ha fatto chiudere il cerchio. La trasformazione è il filo rosso di questi testi e Borges parla di natura
circolare del tempo in una poesia in cui dice “Il tempo è un fiume che mi
trascina, ma sono io quel fiume; è una tigre che mi divora, ma sono io quella tigre; è un fuoco che mi consuma, ma sono io quel fuoco”. È il mio modo di intendere la vita: non essere passivi ma contribuire a definirsi».
Si sente tigre?
«Più un gatto che mangia tanto: un riflesso della dieta che sto facendo prima di affrontare il tour».
Ci sono molti riferimenti alla religione nei testi…
«Volevo puntare l’occhio di bue sul concetto di giudizio, sulla facilità di giudicare, sulla distinzione fra santi e peccatori: un modo di condannare con ironia la velocità che vedo nel creare verità assolute. La religione per molti è qualcosa che dà giudizi basati su dogmi, mentre io provo a mettere davanti l’empatia come risposta all’estrema facilità di giudizio, all’incremento di cattiveria sui social e nelle relazioni».
Il giudizio su di lei?
«Sono abituata. All’inizio della carriera mi pesava, ma il giudizio era meno presente perché non vivevamo la full immersion nei social che viviamo oggi. A volte mi sono innervosita, magari senza arrivare a stare male. Il punto è la superficialità dei commenti che vengono fatti senza pensare che dall’altra parte c’è una persona reale».
Il 5 agosto ha compiuto 40 anni…
«Li ho vissuti male (ride). Ho sempre cercato di non dare peso ai decenni, ma di vivere la vita come un flusso continuo. Non mi sento diversa dall’anno scorso, ma tutti me lo chiedono e quindi mi è venuta l’ansia. Gli auguri al Tg sono stati belli, però… Sarei voluta rimanere a casa a piangere tutto il giorno. Non ho fatto un festone: sono andata in un ristorante in val Bormida con mio marito e i miei genitori».
Tornando alla religione… in «Delusa» dice «Credo che Gesù fosse una lei delusa»…
«Non intendevo dire che Gesù è una donna, ma che la mia delusione è
come quella di Gesù tradito».
«Avvelenata» è un omaggio a Guccini?
«Quella canzone con Paolo Santo (Paolo Antonacci, il figlio di
Biagio ndr) che scrive con me da anni, è il fiore all’occhiello del disco. È un
piccolo omaggio non voluto a Guccini, mentre in «Esibizionista» omaggio
volutamente Rettore. Da quando ho fatto la cover di “Sweet Dreams” a Sanremo mi sono usciti ascolti come Alice, Giuni Russo, Rettore, Celentano, Morandi».
I suoni sanno di anni 80…
«Quel mondo elettronico è quello che amo di più anche se rispetto a
“Vortice”, usiamo suoni meno sintetici e più caldi, si sentono le dita suonare, si percepisce umanità».
«Vedo crisi culturali» canta in «Emanuela»…
«In quel testo cito cose piccole e altre più pesanti… La crisi culturale si vede in quel giudizio di cui parlavamo prima, ma anche nella mancanza di propensione ad approfondire gli altri e di approfondirsi. Vedo una tendenza a imporre regole e a limitare gli altri nella vita privata: non ha alcuna logica».
La gente scende in piazza per Gaza. Che ne pensa?
«Giornate emblematiche e difficili, ma mi hanno lasciato un sentimento positivo. Mi ha emozionato vedere una risposta così partecipata. Si vede che siamo in tanti a riflettere sulla fortuna che abbiamo noi rispetto a chi vive l’orrore della morte e della guerra. Pensare ai bambini che muoiono e alle famiglie che non hanno più una casa non è un discorso di appartenenza
politica».
In un testo usa la parola «puttane» riferita a un tradimento. Parola scivolosa…
«A volte si reagisce male alle scorrettezze, non siamo perfette, ci arrabbiamo ed esageriamo come tutti… Se lo fai con un’amica però ti senti protetto, compreso anche quando esageri».



















































10 ottobre 2025