Totti potrebbe essere il suo uomo ideale?
«Mah… che domande. Da bambina avevo tutti i suoi poster, lo sognavo di notte, avevo fatto i calcoli: sarei diventata maggiorenne a un’età per cui lui si sarebbe potuto fidanzare con me. Ci sono rimasta molto male quando si è messo prima con Maria Mazza e poi con Ilary. Però con Ilary ho capito che sarebbe stata una cosa duratura».

Duratura…
«Un po’ è durata… Insomma, io sono romana e della Roma, ma che le devo dire?».

Forse mi può dire che non potrebbe innamorarsi di Totti anche perché è già innamorata di un altro uomo.
«Sì, in questo momento ho il cuore impegnato».

A un suo recente spettacolo, sul palco ha fatto anche nome e cognome del fortunato. È felice?
«Sto bene, che secondo me è meglio di essere felici. Perché chi è sempre felice è un rincoglionito. La felicità , come l’amore, è un concetto astratto che usiamo per denominare un nostro momento di benessere, una scossa elettrica che dura un attimo, e che si verifica in assenza di turbamento. Io adesso sono serena, al netto dei turbamenti della vita».

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Nel programma ci sono battute che hanno tutta l’aria di essere delle picconate al politicamente corretto.
«Sono anni che parliamo di politicamente corretto. Maria di Biase, per esempio, mi dà della “cicciona“. A me lo dicono tutti i giorni, mi mandano una frotta di messaggi, di insulti, ma che me frega? La differenza è che quello di Maria non è un insulto, è monologo satirico costruito intorno a quel concetto. Un approccio che, intanto, presuppone dell’affetto. E che, poi, ha una funzione precisa, ovvero abbattere l’ipocrisia. Ma – me ne rendo conto – quello della decostruzione dell’insulto è un meccanismo che presuppone un impegno di comprensione non indifferente da parte dello spettatore. Quello che non va più bene sono le persone che nei reality si mandano affanculo dandosi dei grassoni».

Non crede che negli ultimi anni la comicità in Italia sia stata frenata, condizionata, in qualche modo limitata dal politicamente corretto?
«Intanto, mi pare che adesso siamo completamente sconfinati nell’altro estremo, no? Mi sembra che tutti possano dire tutto, anche troppo…. Anzi, no, non è mai troppo. Insomma, se vuoi puoi continuare a dire “sei un ciccione, un handicappato, un frocio”, non è che ti tagliamo la lingua. Però il mondo è cambiato, le cose sono andate avanti: non fa più ridere, soprattutto quando te la stai prendendo con delle cosiddette categorie che hanno delle “fragilità” manifeste. È troppo semplice prendersela con loro, è come se avessero un cartello addosso con un bersaglio: sono facili da colpire, diventano un mezzo col quale sfogare le proprie fragilità, che forse sono meno evidenti. Credo sia arrivato il momento di fare uno sforzo in più. È una questione di comprensione dell’altro: prima questo sforzo non si faceva, ora non si può non fare. Ecco perché non si può vedere un programma su RaiUno nel quale ci si chieda come si riconosce un parrucchiere gay: io non voglio che i miei soldi vengano spesi per queste cose, sono molto arrabbiata. Penso che stiamo nel peggior frangente culturale e sociale di cui io abbia memoria. Siamo in un momento di emergenza democratica, ma anche sociale: è tutto un involversi sul proprio tornaconto personale, sull’egoismo. Si dà il via libera all’attacco, all’eliminazione della fragilità, non si vede più l’altro, non c’è più il confronto. Mala tempora currunt».