Marcello Cicalini ha 69 anni, suona il pianoforte e ha imparato a convivere con un tumore alla prostata, diagnosticato in fase avanzata. «Il silenzio e la strategia del rinvio sono errori da non commettere», dice con voce ferma nel nuovo episodio del podcast “Prima, durante, dopo. Prevenire, affrontare, superare il cancro”, prodotto dal Corriere della Sera in collaborazione con Aiom, l’Associazione italiana di oncologia medica. «Il mio consiglio a tutti gli uomini è lo stesso che ho dato a mio figlio, che ha 45 anni: fare gli esami, fare la visita con l’urologo una volta l’anno, anche se non hanno dei sintomi particolari. Prevenire è sempre meglio». 


Nessun dolore, nessun disturbo: proprio quel benessere apparente lo ha tenuto lontano dai controlli. «Io sfortunatamente non l’ho fatto, perché nessuno me l’ha detto o non mi sono interessato, non lo so. O perché stavo bene. Però, sinceramente, se l’avessi fatto, non mi sarei ritrovato questa situazione». 





L’importanza della prevenzione: il test del PSA

Il carcinoma prostatico rappresenta la neoplasia più frequente fra i maschi over 50 anni e, secondo le stime, colpisce un uomo su otto. Attualmente, in Italia, il 90% dei casi viene individuato in fase iniziale, quando il tumore è localizzato e non ha ancora sviluppato metastasi. Questo risultato è attribuibile, in larga parte, alla diffusione del test del PSA (Prostate-Specific Antigen): un esame ematochimico che misura l’antigene prostatico specifico. «Con la sempre maggiore diffusione del test del Psa è cresciuta la quota di diagnosi precoci», afferma Marco Maruzzo, direttore dell’Oncologia 3 all’Istituto Oncologico Veneto di Padova. «È un semplice esame del sangue i cui esiti, però, vanno sempre attentamente valutati insieme a un medico».

Le linee guida raccomandano l’esecuzione del test a partire dai 50 anni. Nei soggetti con familiarità oncologica, invece, è indicata l’anticipazione dello screening già a partire dai 40 anni. 

È opportuno sottolineare che un incremento dei livelli sierici di PSA non è, necessariamente, indicativo di neoplasia prostatica. Valori elevati possono, difatti, essere correlati a condizioni benigne quali ipertrofia prostatica benigna (IPB), prostatiti acute o croniche, o altre alterazioni infiammatorie della ghiandola. Per tale motivo, è essenziale non ignorare eventuali sintomatologia, tra cui: riduzione del flusso urinario, necessità di contrazione addominale per iniziare o mantenere la minzione, sensazione di svuotamento incompleto della vescica, pollachiuria, urgenza minzionale e nicturia. 





«Il 91% dei pazienti è vivo»

Il tasso di mortalità per il tumore alla prostata è in diminuzione e lo conferma lo stesso Maruzzi: «Il 91% dei pazienti è vivo 5 anni dopo la diagnosi. Grazie alle tante nuove terapie che sono arrivate per il carcinoma prostatico in stadio avanzato o metastatico, che consentono di vivere anche un decennio o più con la neoplasia».


Oggi, le opzioni terapeutiche sono numerose e diversificate: si va dalla chirurgia o radioterapia, all’impiego di farmaci consolidati e innovativi. Nei casi di neoplasie a basso grado di aggressività, è possibile adottare un approccio di sorveglianza attiva, che consente di monitorare l’evoluzione della malattia evitando trattamenti invasivi non necessari. La testimonianza di Marcello è un invito alla prevenzione: in ambito sanitario, il tempo è un alleato prezioso. 




Ultimo aggiornamento: giovedì 9 ottobre 2025, 19:21





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