Le spedizioni scientifiche di un tempo conservano un fascino inestinguibile rispetto a quelle dei nostri giorni, infinitamente più documentate, decisamente meno romantiche nell’ansia bulimica di moltiplicare e saturare ogni possibilità di ricordo in un digitale frenetico che tutto ingloba e a tutto toglie l’anima. Un po’ la differenza che si prova a osservare il mistero insondabile di una fotografia coi bordi un po’ ingialliti dal tempo, che congela un attimo irripetibile di tanti decenni fa e continua a interrogarci su quanto di non detto, di non visibile ci sia, lì, e invece avere una memoria satura di migliaia di immagini perfette.
La spedizione scientifica di De Martino nel nostro Sud che generò un testo capitale ancor oggi come La terra del rimorso, uno di quegli esempi incontrovertibili di antropologia che diventa anche poesia della descrizione, affondo nelle ragioni ultime delle azioni e dei comportamenti umani e moltiplicazione dell’afflato poetico e creativo di quelle azioni stesse.
Anche se nascono in contesti di spaventosa miseria, per i nostri occhi d’oggi. De Martino nel 1959 aveva accanto una giovane antropologa, fotografa e documentarista nelle intricate peregrinazioni tra paesi e campagne della «terra del rimorso», percorsi che ricostruirono per la prima volta anche un paesaggio sonoro di clamoroso spessore culturale, fino ad allora ignorato o considerato binomio di superstizione e musica grezza. Era una figura frizzante e competente, piena di vita e di rispetto per le vite e le pratiche degli altri, in primis gli esclusi dalla storia con la «esse» maiuscola.
Di lei ci restano opere come La festa dei poveri, Lettere da una tarantata, Carnevale si chiamava Vincenzo, frutto di ricerche condotte assieme al grande Roberto De Simone, il superbo Sud e Magia, documentario per la Rai. Ma resta anche il ricordo del formidabile crocevia culturale che fu la sua casa a Trastevere, dove viveva con il regista e documentarista Michele Gandin: molte ricerche, molti snodi cruciali della nostra «storia dal basso» non ci sarebbero, oggi, senza quel focolaio intelligente e operativo di idee. Francisco Faeto e Francesca Ucella, antropologi, in Annabella Rossi/Album di famiglia di un’antropologa (Squilibri) ricostruiscono con le parole, ma soprattutto con 144 preziose e potenti fotografie in bianco e nero, spesso anonime, il percorso di vita e di ricerca di Annabella. Memoria di una donna della memoria.